A volte la storia che sta dietro alla realizzazione di un’opera è più interessante dell’opera stessa. Nel caso di “the sound of Mcalmont & Butler” (1996) si può dire che l’interesse gareggia ad armi pari con la qualità del lavoro stesso. Il contesto è importante: Bernard Butler, storico chitarrista dei primi Suede e, a detta di molti miglior chitarrista inglese della sua generazione - quella dopo Johnny Marr per intenderci - non vuole saperne di unirsi ad un’altra band e sta studiando un modo per uscire dal tritacarne brit pop. Ha in testa solo due nomi, due suoni: Dusty Springfield e Scott Walker.

Non solo, ha una manciata di idee musicali sequestrate alle sessions di Dog Man Star ed è in cerca di una voce che possa completarle. Incontra David Mcalmont ad un live della sua band di allora,The Thieves, e ne rimane impressionato. Pochi giorni dopo scrivono una hit: Yes. Pezzo che rimbalza a top of the pops e di cui viene eseguita una versione ruggente al Jools Holland proprio di fronte alla sopra citata Dusty Springfield!

Altro singolo “you do”, altro pezzo da novanta carico di un soul così insolito per quell’epoca. Mcalmont & Butler non ne vogliono sapere né di fare un disco né di intraprendere un tour. Butler è talmente refrattario al sistema che si preoccupa solo di completare i cdsingle con una manciata di B sides: CD1 e CD2.

Visti i risultati dei due singoli e la resistenza del guitar hero l’etichetta non trova di meglio che unire le hits alle b-sides ed ecco uscire “the sound of Mcalmont & Butler”.

Una compilation raffazzonata quindi? A giudicarlo a più di vent’anni dalla sua uscita direi proprio di no: la qualità della scrittura è altissima con momenti ad incastro fra Prince (what’s the excuse this time?), Marvin Gaye (“don’t call it soul”) ed echi 60’s (la già citata Yes e “although”).

Bernard produce e dirige il lavoro coadiuvato da un nugolo di nomi storici (Mike Hedges) e che da lì a poco avrebbero fatto la storia (Nigel Goldrich che su questo disco muove i primi passi come ingegnere del suono). Un lavoro da riscoprire sicuramente, meglio se nella special edition a 3 cd zeppo di curiosità video e interviste.

A margine: Bernard Butler non si è mai voluto esprimere ufficialmente sul motivo per cui abbandonò i Suede. Seguendo il suo percorso artistico e avendolo anche incontrato di persona recentemente, posso però supporre che l’unico motivo è che la band era stata investita da un interesse ed una pressione che ancora oggi il chitarrista e producer (Duffy, Paloma Faith, Sophie Ellis Bextor) non cerca. Continuo ad ammirarlo per questa sua integrità.

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