I Bad Religion sono come la matematica:inappuntabili, incontrovertibili, non opinabili.
Ma soprattutto, i Bad Religion rappresentano da sempre in ambito punk/hardcore la ragione che asseconda l'istinto, la mente che arma il braccio, il senno che veicola rabbia, irruenza e passione in qualcosa di più che semplice musica, elevandone lo status a vera e propria filosofia.

Nata quarant'anni or sono sotto il sole di Los Angeles e giunta perfettamente in salute ai giorni nostri, nell'ultimo anno la premiata ditta Greg Graffin & co. ha ampiamente dimostrato di sapersi muovere con disinvoltura ed intelligenza in un mercato musicale (o quel che ne resta) in continuo mutamento e all'interno del quale le piattaforme streaming hanno progressivamente sostituito per numeri ed attrattività le vecchie heavy rotation, allineandosi alle nuove modalità di pubblicazione attraverso i propri canali social e YouTube e superando il concetto ormai obsoleto secondo cui rilasciare una manciata di singoli sarebbe plausibile soltanto come supporto ad un full-lenght.

Tutto questo, ça va sans dire, ha fatto fare la bocca all'idea di un nuovo studio album allo zoccolo duro della fanbase, quello costituito dai nostalgici della liturgia del primo ascolto, eseguito tassativamente in cuffia, lontani da ogni distrazione che non sia il booklet con i suoi testi, le sue grafiche e quel rassicurante ed inconfondibile odore per il quale Spotify ancora non é attrezzato.

Aspettative assolutamente mantenute:dallo scorso 3 maggio é disponibile "Age Of Unreason", 17esimo lavoro di inediti per la sempreverde Epitaph Records dell'altrettanto sempreverde Brett Gurewitz, storico ex chitarrista ed oggi stretto collaboratore del combo californiano.

"La band ha sempre rappresentato i valori dell’illuminismo.Oggi questi valori di verità, libertà, uguaglianza, tolleranza e scienza sono in serio pericolo. Questo album è la nostra risposta”, ha dichiarato Mr.Graffin durante un'intervista immediatamente precedente la pubblicazione del nuovo episodio discografico, come se i Bad Religion non fossero mai stati correttamente orientati nel tempo e nello spazio.

Perché in effetti basta la opener "Chaos From Within" a ribadire il concetto, servendosi di una sezione ritmica severa come una sentenza e di precise rasoiate di chitarra per sorreggere un testo che prende a pugni la coscienza collettiva:“Threat is urgent, existential/but the danger’s purely mental”.
Ed é anche il biglietto da visita ideale per Mike Dimkich (chitarra) e Jamie Miller (batteria) intervenuti rispettivamente in sostituzione di Greg Hetson e Brooks Wackerman.

"My Sanity" é un tappeto di chitarre sul quale sdraiarsi abbracciati stretti stretti ad una salute mentale che tutti quanti rischiamo di veder compromessa da teorie del complotto e movimenti "anti-qualcosa", coccolati dal solfeggio di Grag ed i classici, immancabili cori che hanno fatto la fortuna della band.

"Do The Paranoid Style" é un pezzo difficile, schizofrenico, dissonante come non si sentiva dal pre-chorus di "Generator" che catechizza l'ascoltatore ed il suo inedito approccio estremista nei confronti dei temi di attualità più caldi:"All kinds of wild interpretation are open to the paranoid imagination"

E mentre "The Approach" rappresenta tutto quanto ci si auguri si trovare in un disco dei Bad Religion, "Lose Your Head" é il classico pezzo rock radiofonico made in U.S.A e permette di tirare il fiato prima che la tracklist ci consegni un'interessante "End Of History":il suo é un sapore di punk-rock anni '80 in puro stile Ramones, sapientemente miscelato insieme ad una generosa cazzuolata di feccia sulle politiche anti progressiste del Presidente Trump.
Un costrutto di cosa é stato e cosa può ancora essere la musica punk quando é la forza delle idee a sopperire alla fisiologica mancanza di innovazione a livello prettamente musicale.

Il professor Graffin sale in cattedra prima con la title-track ("It requires a common sensibility/to teach an intellectual capacity that I believe/is in the air but everywhere/is the ultimate act of treason"), poi con la lucida e spietata "Candidate", ponte ideale fra l'attività di frontman ed il dottorato in sociologia evolutiva alla UCLA.
E pazienza se all'ascolto sovviene un tizio col cappotto della polizia anziché un toupée biondo-rossiccio, in fin dei conti il populismo parla un linguaggio pressoché universale.

L'hardcore di "Faces Of Grief" ha il passo pesante e nervoso di una linea di basso e di uno spoken word che sarebbe lecito aspettarsi dalle parti di Washington D.C. mentre le chitarre vanno di fioretto in "Old Regime", il brano che sarebbe piaciuto scrivere agli Avenged Sevenfold.

La tripletta "Big Black Dog"-"Downfall"-"Since Now" potrebbe essere concentrata in un solo brano di surf music e sdrammatizza i toni, per lo meno a livello di suono, offrendo ottimi spunti per la prossima playlist estiva.

"What Tomorrow Brings" é il brano che coi suoi 3:10 risulta il più lungo del disco e che non aggiunge altro a ciò che conosciamo tutti a proposito dei Bad Religion.

Ora, prima che possiate cominciare a menarmela su quanto insipida possa risultare questa recensione, sappiate che da fan non é facile spiegare l'ennesimo album di un quintetto capace di rimanere uguale a sé stesso a dispetto del peso di quattro decadi sul groppone ed un buon numero di cambi in line-up, una band che guadagnava consensi all'interno della comunità punk losangelina nello stesso arco temporale in cui Duran Duran e Spandau Ballet si spartivano i bollori delle adolescenti e che detta scuola ancora oggi, come a voler rendere giustizia all'ala più fedele del proprio seguito.
E a chi invece ha intenzione di menarla con paragoni insostenibili sappia che no, questo non sarà in alcun caso il nuovo "Suffer" e nemmeno il successore di "Against The Grain".
Però é il nuovo album di un progetto che probabilmente cesserà di vivere il giorno in cui l'umanità non avrà più bisogno di sentirsi dire quanto fa cagare.
Il che potrebbe anche accadere.
In fondo, a me la matematica non piaceva affatto.

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