I Pink Floyd sono stati, oltre che grandissimi musicisti, furbissimi autori di album graziosissimi impreziositi, quasi sempre, da copertine scioccanti passate, giustamente, alla Storia. Qui c'è una paffutissima vacca che, col sedere tondeggiante, sembra sorriderci impunemente (poi verranno le geometrie spaziali di "Dark side of the moon" e poi, come ultimo grande colpo di coda, il muro grigiastro inquietante di "The Wall").

Stiamo ovviamente parlando di "Atom heart mother", uno dei più grandi successi commerciali dei Pink Floyd e uno dei dischi più famosi della storia della musica. Album non perfetto, occorre chiarire subito, eppure estremamente sperimentale e coraggioso. Non siamo ai livelli di "The Piper at the gates of dawn" (livelli, per altro, praticamente irragiungibili), ma siamo comunque di fronte ad un disco stralunato e abissale, esempio lucentissimo di cosa erano in grado di comporre quei geniacci dei Pink Floyd in piena era psichedelica e femminista (è doveroso ricordare che i Pink Floyd non si sono mai espressi chiaramente circa questioni politiche e morali, salvo esporre tutte le proprie paure e angosce, anche politiche, in "The Wall", 1979).

"Atom heart mother" è più definibile come 'opera musicale ai limiti della liricità', piuttosto che musica pop o, peggio ancora, psichedelia sofisticata. Si tratta di un disco ambizioso e sperimentale: la prima parte, lunghissima, è composta da "Atom heart mother", energica rivisitazione in chiave soft-pop di un certo modo, a volte ingiusto, di concepire la musica americana (risuonano moltissime le chitarre, il basso, i violini), con l'aggiunta, intelligentissima, di una fortissima visione melodica e strumentale che accentua, in alcuni passaggi in maniera quasi violenta, la voglia di trasgredire e rivoltare, come se si trattasse di un calzino, l'intera gerarchia musicale anglofona (i Pink Floyd si fanno beffe, in maniera quasi indecente, di Jimi Hendrix, Bob Dylan, i Beatles e i Rolling Stones). Eppure, paradossalmente, è proprio "Atom heart mother" il punto debole dell'intero album: grandi musiche, grandi capacità strumentali, qua e là molte (troppe) lungaggini che rischiano sempre di appesantire e, altresì, forzare il concetto di originalità e modernità. Lungaggini che, nonostante molte buone cesellature (vedi "Dark side of the moon"), saranno uno dei limiti, e per qualcuno uno dei pregi, della leggendaria band inglese capitanata dal geniale Roger Waters.

Più riuscito il secondo lato. Un trittico affascinante, "If", "Riser and shine", "Summer '68" splendono, ed emozionano, senza nè trucchetti nè compromessi. Musica affascinante, suoni avanguardistici, melodie insuperabili: è questo il meglio, e forse il massimo, a cui possono aspirare i Pink Floyd di inizio anni Settanta. Letteralmente da sezionare, e da studiare, il modo con cui la band inglese smonta e rimonta, in maniera del tutto naturale, le più disparate melodie avanguardistiche e cerca, forse un pò forzatamente, di creare nuovi stili e nuove mode. Eppure, nonostante qualche difettuccio, il basso di Waters e la chitarra di David Gilmour (che sostituì, nel 1968, l'ottimo Syd Barrett) sono, come sempre, una garanzia di genialità e perfezione.

"Atom heart mother", album comunque epocale, può essere considerato il diretto discendente di "Ummagumma", famoso disco dei Pink Floyd datato 1969 (si trattava di un doppio album in cui la band inglese si divertiva a sfaldare, e ricucire, il rock), eppure, questo "Atom heart mother" gli è addirittura superiore: un brano come "If" vale, come si suol dire, il prezzo del biglietto. Un disco, come tutti quelli dei Pink Floyd, da ascoltare attentamente senza nè disturbi nè rumori.

Enorme successo di vendite a cui seguì, come successo precedentemente, un mastodontico tour mondiale e una inaspettata popolarità cinematografica: "assoldati" da Michelangelo Antonioni cureranno, benissimo, la colonna sonora del famosissimo "Zabriskie Point".

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