Successe che Rick Wakeman, durante una delle innumerevoli uscite di scena dai grandi Yes, decise di comporre musica a suo nome. E successe che prima di perdersi in decine e decine di opere new-wave e dopo aver sfornato due lavori notevoli, esordendo con le sei mogli di Enrico VIII e proseguendo per il suo viaggio verso il centro della terra, il biondo tastierista se ne uscì nel 1975 semplicemente con la più famosa delle leggende del Regno Unito. Vi è narrata la storia, arcinota (ma una capatina alla Wikipedia l’ ho fatta comunque… ), del giovane Artù (chissà se realmente esistito, oppure ispirato ad un altro personaggio: c’ è chi parla di un condottiero romano, chi del re dei Bretoni… ), innamorato di Ginevra, divenuto re estraendo la mitica Excalibur dalla roccia: narra la leggenda che questa spada venne distrutta in combattimento e che Merlino allora consigliò al giovane re di sostituirla con la spada in mano a colei che venne definita Dama del lago. Nel castello di Camelot, alla sua Tavola Rotonda sedevano i valorosi cavalieri (non si sa quanti) e secondo alcune fonti Merlino. C’era inoltre un posto vuoto, riservato a colui dal nobile cuore che avrebbe recuperato il santo Graal: l’impresa riuscì a Sir Galahad, figlio illegittimo di Lancillotto e di tal Elena di Corbenic, che ingannò il cavaliere assumendo le fattezze dell’ amata Ginevra, moglie del suo re… molti i film sull’ argomento (“L’ultimo Cavaliere” con Sean Connery e Richard Gere, “King Arthur” con la bellissima Keira Knightley… ), inutile parlarne oltre.

Abbandonati i supporti musicali degli altri mostri degli Yes e di Dave Cousins dagli Strawbs, la sua vecchia band, per altri musicisti meno di fama (almeno per me… ), Wakeman si apprestò a musicare a suo modo questo vero patrimonio della tradizione di Sua Maestà. Inutile dire che il tema esaltò la classe e, perché no, la pomposità del miglior tastierista progressive (sorry, Mr Emerson); ma è un Wakeman che ancora ha il controllo delle sue innumerevoli tastiere (qualunque appassionato credo abbia in mente la foto di retro copertina di “The Six Wives of Henry VIII” ) e l’ellepì presenta molti momenti di grande intensità, altri davvero solenni, spesso di elevato spessore musicale. E poi le sue fantastiche prolissità, come vivere senza?

La prima traccia del concept è semplicemente “Arthur” : attacco maestoso con incisiva batteria (Barney James), sproloquio di tastiere, un cantato stranissimo (solo dopo qualche ascolto lo si trova quantomeno adeguato e lo si comincia ad apprezzare), il tutto culminante in un finale intensissimo. In definitiva un buon intro, ma non a livello della sezione centrale dell’ opera. Seguono “Lady Of The Lake” , brevissimo canto corale di rara suggestività, e la bellissima “Guinevere” : stupendo l’intro in piano, poi silenzio… tra mille effetti tastieristici in crescendo comincia una melodica ballata, dedicata a Ginevra, colei che s’innamorerà di Artù e diverrà “ Queen of all the Britains” . Di grande effetto l’ assolo chitarristico (Jeffrey Crampton). Dopo l’amore, l’azione… ritmo subito indiavolato per “ Sir Lancelot And The Black Knight” : canto rabbioso tra riff tastieristici (ammesso che si possa definire tale) ed uno spettacolare ritornello corale evocante il Cavaliere Nero. Wakeman si esibisce, nella sezione centrale, in un bellissimo assolo. Brano davvero notevole.

In un coro solenne ecco giungere (e come poteva mancare… ) “Merlin The Magician” . La canzone (mini suite?) è strumentale, e tecnicamente è la vetta artistica per Wakeman nell’ellepì: si alternano frenetici ritmi quasi circensi simboleggianti credo i duelli di magia (quasi quasi sembra di scorgere anche Maga Magò come nel film della Disney… ) lascianti profondi dubbi sul numero di arti a disposizione del biondo tastierista e momenti da piano straziante con un basso (Roger Newell che gioca a fare Squire) in evidenza. Forse è meno roboante delle tracce precedenti, meno pompose, ma la tecnica è eccellente e i dieci minuti non pesano davvero… Manco a dirlo, altro coro da brividi, indi timbra il cartellino anche “ Sir Galahad” .

Un piano iniziale che dal tema di “ Guinevere” sfocia in un esplosione tastieristica (che bello ‘ sto aggettivo, ne sto stra-abusando… ). Tornano le alte voci del cantato (per la cronaca, Ashley Hold e Gary Pickford Hopkins… ) sorrette da un particolarissimo uso della strumentazione di Wakeman. Forse inferiore ai brani precedenti, è comunque un brano godibile. Ma ormai la battaglia è imminente, la storia sta per essere decisa, e non può che avvenire nell’arma più incisiva del progressive, la suite. Seppur mini… “The Last Battle” è maestosa nel suo incedere, mai intensa come le prime tracce, bensì dedita ad un andamento più melodioso: canto e brani narrati si alternano a bellissimi fraseggi di Re Riccardo e dei suoi collaboratori. Chiaro che non possono mancare assolo e qualche coro, il vero leit-motiv dell’ opera. A testimonianza dell’ impostazione classica di Wakeman, il finale è un solenne dialogo tra piano e percussioni.

Mi sono dilungato troppo, vero? Chiedo venia. Concludo consigliando quest’ opera a chi ama il progressive, perché opera degna di uno dei migliori interpreti di quel periodo d’oro della musica. E vissero sempre felici e contenti. The End

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