Che l’heavy metal sia una strana creatura l’ho sempre saputo. E forse il genere musicale di massa che più ha dato l’opportunità a band che non fanno parte dell’asse angolo americano, che domina sin dal suo nascere il mercato della musica cosiddetta extracolta, di emergere. Periferie del mondo, a livello musicale, hanno dato i natali a gruppi cult, o anche a fenomeni di massa. Basti pensare allo speed e al power tedesco, al death norvegese. E l’Italia? Anche l’Italia nel suo piccolo è stata patria di gruppi che hanno superato i confini nazionali per diventare altro. Ad esempio i Death SS, o gli stessi Vanadium, in tempi più recenti i Lacuna Coil. L’Italia è stata però anche patria di piccolissime entità spesso diventate di culto fuori dai confini italici.

Mi stupì ad esempio scoprire quanto in America siano apprezzati i gruppi hardcore italiani degli anni novanta come Negazione o Kina. Poi scendendo ancora ci sono gruppi cult di cui si sa poco, o pochissimo. Nei miei ruggenti anni ’80 ad esempio avevo acquistato il vinile di un mini LP di un gruppo esordiente edito dalla mitica Minotauro records di Pavia, la casa discografica che pubblicava i dischi di Paul Chain. Mi aveva catturato la bella copertina nera e molto cupa con il disegno di una sorta di chiesa e il fatto che il vinile venisse pubblicizzato sulle pagine della rivista di settore HM, che lo aveva anche discretamente recensito nel 1988. Ora bisogna dire che allora non è che si prendessero le cose su Amazon, e nemmeno ci facevano ordini particolari al negozietto di fiducia. Il disco arrivò per caso in una copia al negozio della mia città e io lo presi. Una ventina di minuti di musica. Due pezzi sul lato A e una mini suite di 12 minuti divisa in tre momenti sul lato B.

La musica era un metal molto venato di dark. Ben suonato e molto melodico. Il lavoro si apriva con “Who Cries for the Children”, un pezzo piuttosto veloce e ritmato, proseguiva con la cupissima “Melancholy”. La suite che occupava il lato B si intitolava invece “My Name is Man” e aveva il suo culmine nella terza parte, che era molto in salendo e di impatto. Le tre parti che componevano questa affascinante suite si intitolavano “It Could Be Hell”, dalla partenza lenta e cadenzata, la melodica e distorta “When Seconds turn to Years” e il finale davvero bello e in crescendo di “The Dream”, molto doom piena di oscuri synth e ben cantata con una melodia ipnotica. L’ho ascoltato per anni sapendone ben poco. Giusto quello che si sapeva dalle scarne note del retrocopertina. La band era composta da due elementi, più un terzo prestato da un’altra band. Per la precisione Maurizio Cucchiarini alla voce e alla chitarra e Nicola Nikki White Pucci al basso e al sintetizzatore, il terzo elemento si chiamava Fabio Marra, suonava la batteria e proveniva dagli Heaven Keys, band ancora più misteriosa. Per scoprire qualcosa su di loro tocca affidarsi a qualche oscuro forum e a qualche memoria personale di chi commenta. Il gruppo dovrebbe avere inciso un 45 giri, sempre per la Minotauro, dal titolo Lets'go easy/Go your way, brani che vengono dipinti con una sonorità vicina a quella degli Angel, quindi una sorta di pomp metal. Pesaresi, come i Run After To, erano nati come Tomahawk ed erano formati da Jeff Martino alla voce, Paul Januars alla chitarra, Mark Face al basso e il già citato Marra. Ma è materia per nerd metal. Tornando ai Run After To. Nel disco si sentiva chiaramente la produzione, che era del già citato Paul Chain.

La band d’altocanto proveniva, come già detto, dalla stessa città dell’ex Death SS, Pesaro, e aveva una sonorità molto vicina ai primi lavori del Catena. Stop. Per scoprire qualcosa di nuovo bisogna arrivare ai giorni nostri. Cercando se per caso da qualche parte fossero scaricabili gli MP3 del vinile ho scoperto che è stato ristampato da una etichetta americana, la Shadow Kingdom Records, che ha infilato nel cd anche i brani del demo precedente al disco fatto dal gruppo, dal titolo Gjinn And Djinn e risalente al 1985, oltre a qualche altra, scarna, nota sulla band e qualche foto, Tra i brani del demo e quelli del mini LP c’è un abisso, sia di produzione che di sonorità. Anche se uno dei brani era già conosciuto in quanto composto dalla band per il loro produttore Paul Chain. Si tratta di “Occultism”, che era contenuto su Detaching from Satan del 1984.

Sul demo c’era già anche una versione abbozzata di “Melancholy”, molto più grezza e senza l’assolo finale. La registrazione è quella classica di quegli anni, confusa e poco professionale ma con un certo fascino. Mentre il mini LP è registrato davvero bene. All’interno del vinile invece si trovava un foglio a parte ciclostilato con disegni che riprendevano i temi della copertina, che non è stato riprodotto per la ristampa in CD. Il disco doveva essere il preludio dell’uscita di un LP che non arrivò mai sugli scaffali. Una piccola storia del variegato mondo metal nostrano. Anni fa mi era capitata sott’occhio anche una intervista al cantante in cui raccontava le vicissitudini della registrazione del disco e del demo, svelando anche come erano stati prodotti i suoni da seduta spiritica che si sentono. Purtroppo non riesco a trovarla in rete. Ma su You Tube lo si può sentire tutto.

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