Un lento soffio.
Viene da lontano, dalle terre di Sigur Rós, Múm e Bjork; è partito prima di loro, ma - lento - nel frattempo ha incrociato intense maree provenienti dall'America, nate forse da un sussurro di Mark Linkous o Pall Jenkins, si è imbevuto della loro salsedine madreperlacea, ed è giunto a noi solo nel 2004.

Gli Slowblow sono un duo, Dagur Kári Petursson (già regista del film "Nói Albinói") e Orri Jonson, e la loro musica fragile è per me una delle sorprese più inebrianti degli ultimi anni.
Il drumming è rado, gli arpeggi (o i calmi accordi) sporchi e soffusi di colori della tonalità del ghiaccio. Tra lo scricchiolio della sedia e il fruscio del microfono, poi, si materializza il lento soffio: la voce di Dagur, che condivide con quella di Kristín Anna Valtysdóttir dei Múm (ospite in alcune tracce) una stessa qualità, soffice, poetica, come la foto mai scattata di un paio di gambe che danzano melodie imperfette sugli scogli levigati dell'Islanda.

Difficile dire cosa ci sia dentro, vi si scorgono appunto i Black Heart Procession, per la profonda stasi, e soprattutto Sparklehorse, per la luce surreale e l'intimità della voce. Ma c'è un gusto particolare, un respiro freddo e profumato, forse condiviso con la tenue urgenza elettronica dei Múm, o con la rarefazione spigolosa di The American Analog Set.

Very Slow Bossanova ha un incedere secco, tra gli accordi di piano e il racconto dolce di una nave fantasma che salpa e sogni non voluti che tornano a riva; ed è splendida. I Know You Can Smile, innocente come delle calze di lana blu inzuppate dalle onde. Happiness In Your Face prova ad agitarsi, ma rimane meravigliosamente sbiadita e diesel. Cardboard Box pare proprio una piccola scatola di cartone che custodisce un carillon in mezzo alla neve.

Il lento soffio dall'Islanda è tutto questo. Sperando che torni presto a farsi sentire.

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