Nel 1984 il metal in Italia non va per la maggiore, ma c'è un nugolo di band che ne portano alta la bandiera. Su tutte, con un passato da heavy blues band, la Strana Officina. Il sudore di chi lavora con incudine e martello si fonde a quello di chi si lancia in assoli mozzafiato.
Un EP di circa mezz'ora che contiene tutto, o quasi, quello che può servire a chi ha bisogno di evasione, ma anche di realtà, di riff crudi ma grande melodia, con gli echi di una vita faticosa vissuta in provincia.
La meravigliosa copertina presenta la prima traccia, la più breve, “Viaggio in Inghilterra”: un omaggio alle radici del metal, da cantare a squarciagola, con assoli di altissimo livello.
Parliamo probabilmente della canzone meno bella, ed è comunque un pezzone.
Segue la sognante “Autostrada dei sogni”. Questa è la struggente storia di un ragazzo che vede la sua amata, o forse di un uomo più anziano che parla a una giovane: lei è ventenne, ha la vita davanti a sé ed è alla ricerca di riscatto. Il pezzo diventa pesante ed è introdotto un riff epico e bellissimo. “No, la tua storia, non finisce qui: oh, la tua gloria risplende”. Una band metal che non ha paura di parlare di sogni e speranze.
“Luna nera” si sviluppa con un'enorme eleganza e gusto per la melodia, con un assolo clamoroso e difficilissimo tecnicamente. Segue quindi la batteria marziale di “Piccolo uccello bianco”, brano che - a mio modesto parere - se la gioca con “Autostrada dei sogni” come migliore della pur breve tracklist. Il riff iniziale è da insegnare a scuola. Poi quell’assolo finale, da brividi, velocissimo, impazzito, ti fa scorrere la vita davanti agli occhi; e quando pensi che stia per finire, invece no, riparte, ancora più lanciato verso il cielo, con quella batteria… e poi riprende il riff iniziale. Magistrale.
È impossibile non amare la Strana Officina se si è degli heavy rocker onesti e vecchio stampo. Perché poi sì, va bene, diciamo che magari musicalmente i Vanadium erano meglio, che i passaggi che ricordano Iron Maiden o Saxon ci sono anche troppo, che non hanno inventato nulla. Ma la magia di quella volta in prima o seconda liceo che tornai da un calcetto e mi misi ascoltare ‘sto gruppo che avevo trovato nei forum… da quell’estate la Strana mi accompagna come un punto fisso, ad essa ho legato ricordi - perché per vari motivi queste canzoni si impregnano di memorie con una facilità impressionante - e al cantato, per ora in italiano, di Bud Ancillotti, con quel timbro strano ma inconfondibile, ho lasciato un pezzo di cuore. E come me, un sacco di altra gente. Quelle chitarre, quella sezione ritmica, quel songwriting… a volte credo che questi livornesacci forse non se ne stavano rendendo conto neanche loro della classe e dell’eleganza dell’opera che stavano creando, con brani da sette minuti l’uno. Pensare a un LP che abbia per tutta la sua durata la profondità di questi quattro brani, fa letteralmente impressione e paura. Una band sfortunata, per vari e tragici motivi, ma che ha regalato musica di altissimo livello.
Così, per tutto l’ascolto sei indeciso se questo sia un grandissimo disco o un capolavoro, poi quando alla fine, in “Piccolo uccello bianco”, dopo quell’assolo meraviglioso, viene ripreso il tema iniziale, ecco, è lì che decidi: è un capolavoro. Voto: 94/100.
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Di Defender85
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