Libertà di espressione creativa, cultura e avanguardia. Il punto è questo e a prescindere del resto.

John Lennon disse che si doveva essere dei grandi bastardi per essere i Beatles e che i Beatles erano i più fottuti bastardi del pianeta. Ecco, questo disco, uno dei grandi monumenti del rock (di qui ci si deve per forza passare) è l'espressione bastarda dei Beatles; nessuna regola, nessuno schema, una casa piena di bambole; si respira la tensione e nel contempo la leggiadria, la scommessa e la strafottenza.
Il Macca scrive Blackbird in India e quando torna a Londra viene a sapere che il suo amico Pete dei Who sta cercando di scrivere la canzone più rock mai sentita fino ad allora... Lui che fa??? Ti caccia Helter Skelter dal cilindro. Lennon è grandioso in Happines e nuovamente sperimentatore in Revolution 9 (c'è da dire che fino al '68 era stato il suo amico Paul a seguire le mode e la sperimentazione musicale della Swinging London). George porta Clapton ad Abbey Road per fargli suonare l'assolo di While My Guitar Gently Weeps e si permette di rivolgersi a Dio in Long Long Long. Ringo scrive il suo primo pezzo tutto suo.

Non posso citare le singole perle di questo album (solo immergendosi con i testi, cercando di capirne il messaggio si potrà arrivare a definirle), così come non credo sia possibile quantizzare l’importanza di queste quattro persone per la musica e la cultura del secolo che è stato, per la vita mia e per la vita tua che stai leggendo. Inutili saranno i paragoni, ognuno deve amare ciò in cui crede! Ma una cosa è certa: questi qui hanno aperto per davvero le danze, hanno fatto credere alla gente che tutto era possibile. Minchia!

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