Tokyo, 1987.

Come nella migliore tradizione punk, anche se in ritardo di una decina d'anni, quattro ragazzetti giapponesi magrolini, ma brutti, sporchi e cattivi, spuntano dal nulla. Spuntano dai loro garage impolverati e dalle loro camere tappezzate di poster di Sex Pistols, Clash e Ramones. Imbracciano i loro strumenti e poi li spaccano. Sono sudati, sporchi, gridano, si agitano. Girano su quattro accordi e su una voce sgraziata ma irresistibile, e si ripromettono di spaccare il mondo. Questi sono i Blue Hearts, storico gruppo punk rock giapponese, formatosi nel 1985, che da alle stampe il primo album omonimo solo due anni più tardi.

Album che è da mettere tra le bibbie del genere. Poco considerati in Occidente (anche se negli Stati Uniti e in Inghilterra sono diventati un fenomeno di culto), e invece gruppo idolatrato in patria anche oggi, a quindici anni dalla loro separazione, i Blue Hearts riescono, nonostante certi limiti tecnici, a fare ciò che ogni buon gruppo punk dovrebbe fare: sputare su tutto e su tutti, divertire, coinvolgere e scatenare violenti impulsi di pogo. I primi due album sono in assoluto i migliori, molto più spontanei e rozzi dei successivi, che si ripiegheranno più sull'alternative rock, ma solo il primo riesce ad inscatolare meglio lo spirito anarchico/divertito di questi quattro ragazzetti pestiferi.

Basti un pezzo meraviglioso come "Linda Linda", indimenticabile inno giovanile che resta impresso anche dopo un solo ascolto. Ritornello cattivo e sgraziato, ma dannatamente piacevole, tre accordi che continuano a girare imperturbabili, batteria che picchia duro. Ed è un colpo di fulmine.

O ancora meglio, la rivoluzionaria "Endless Song", il testamento di una generazione che reagisce alle ingiustizie della vita "cantando una canzone senza fine". 

Cantiamo una canzone senza fine per questo mondo di merda,
Cantiamola per gli stronzi che lo abitano,
Cantiamo una canzone senza fine per me e per te.
Per essere ancora in grado di sorridere un domani.

Il ribaltamento della filosofia Sex-Pistoliana. Per i giovani Blue Hearts esiste ancora un futuro, senza comunque dimenticare lo spirito iconoclasta del "chissenefrega" in un pezzo divertentissimo e cattivo come "Bastard II", perfetto per un pogo senza fine.  
La bellissima "Scrap", invece, cambia leggermente rotta, tessendo un bell'arrangiamento di fondo che si avvicina ad un territorio molto più "indie", ma una scatenatissima "NO NO NO" riporta ancora nelle zone del punk rozzo, che sprona il suo ascoltatore a non starsene immobile ad ascoltare. 

"Dance Number" preme forte sull'accelleratore ed esplode in un pezzo da stadio di un minuto e mezzo, destinato a far gridare a squarciagola, mentre  "For You" rallenta in un'inaspettata e ubriaca canzone d'amore, che suona come se i Ramones coverizzassero.

Insomma, un disco che, per fortuna, non si poggia sulla stessa struttura della canzone, ma che si riveste di colori, umori e sensazioni differenti. Un disco imperdibile per gli amanti del genere, irresistibile per gli altri. Il suo atteggiamento ludico e puramente menefreghista è contagioso.

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