The Concretes, dalla Svezia con furore e con fragore.
Il furore lo porta la miriade di elementi che compone la band dei "calcestruzzi" (fondamentalmente in 8, in pratica incalcolabili). Il fragore arriva invece dalla loro musica, che ad un primo ascolto sembra un'accozzaglia di suoni disorganizzati e ridondanti, strutture nebbiose e disposizioni ubriache. In realtà si impiega veramente poco a comprendere che ci sono solide basi nel background sonoro dei membri della band.La prima magia arriva con "Chico" (#3), di una dolcezza e di un incanto unici: se fosse rallentata rimanderebbe addirittuta alla Bjork degli esordi. Le sorprese piacevoli comunque non finiscono qui. Ad esempio il percorso intrapreso omaggiando la Motown, con "Diana Ross" (#2) e "You Can't Hurry Love" (#5), porta ad un vintage pop di tutto rispetto che convince sempre di più a proseguire nell'ascolto di questo esordio dal freddo nord.
Si prosegue a bocca aperta ricevendo in cambio abbondanti e appaganti cucchiaiate di letargia, sino a raggiungere un completo rilassamento muscolare.
Attenzione però, sconsiglio vivamente l'album a chi è appena uscito da un brutto momento: procuratevelo, custoditelo assieme ai vostri adorati album e ascoltatelo in momenti nei quali il vostro animo avrà un approccio più positivo. Il confine tra la pacatezza e la malinconia è così sottile, è solo questione di predisposizione! Credo proprio che ne verrete catturati, soprattutto se il gelo aumenta e la nebbia si abbassa questa è la colonna sonora perfetta.
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Come al solito si pone il problema del voto, 5 stelline non mi bastano: per i lettori superficiali che leggono il voto alla fine della recensione metto 4/5, per chi ha avuto la voglia di leggersela approfondisco la questione con un 7+/10, che mi pare molto più equilibrato.
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