Nel 2001 la Ropeadope, etichetta jazz americana, pubblicò The Philadelphia Experiment: l'idea che stava dietro questo progetto discografico era quella di proporre un album di contaminazione tra generi diversi, ad opera di musicisti provenenienti da percorsi musicali svariati (jazz, funk, hip hop, soul), ma con in comune la residenza nella città dell'amore fraterno.

Il progetto ebbe un certo seguito, e fu tale a convincere la label a fare un remix dell'album affidandolo al più eclettico produttore house di Filadelfia, King Britt, che fece conoscere l'etichetta ben al di là della cerchia dei jazzofili attirando l'attenzione dei più attenti ascoltatori di musica elettronica e dance.

Visto il successo, perchè non ripetere allora l'esperimento anche per altre città?

Mettere dunque assieme musicisti  di culture musicali e percorsi artisitici diversi, ma chiamati a lavorare insieme all'insegna della massima libertà creativa e improvvisazione. allo scopo di proporre il meglio delle culture musicali delle città americane, rivisto e riproposto all'insegna della contaminazione e fusione dei generi.

E dove realizzare il secdondo capitolo se non a Detroit ? La motor town è sin dagli anni 60 la città che più di tutte ha prodotto il meglio della musica black, dal soul della Motown, al funk di George Clinton, alla techno music della Undergound resistance?

E il gruppo di musicisti chiamato all'opera è davvero di primissima scelta, un ensemble che racchiude il meglio della storia musicale di Detroit: Ron Carter, Geri Allen, Marcus Belgrave, Regina Carter, Amp Fiddler, solo per citare i più noti, chiamati a intepretare brani classici motown o funk, o a improvvisare su materiale creato ex novo.

A coordinare e dirigere il progetto uno dei maestri della scena techno della città: Carl Craig.

Il lavoro svolto da Carl Craig è stato eccezionale: non solo ha suonato in prima persona testiere e sintetizzatori, ma ha  diretto le session, rieditato e remixato il materiale di 3 giorni di sessions, e dato l'impronta e l'anima al materiale editato sull'album, un album che spazia a 360° in quarant'anni di  musica black, rifiltrandola e ripronendola secondo il gusto e lo stile di uno del più creativo ed eclettico produttore della seconda generazione techno di Detroit.

Ecco dunque il lento ed avvolgente ibrido jazz funk di Space odyssey, il soul di Too High (un classico soul di Stevie Wonder intepretato da uo straordinario Amp Fiddler), il vellutato tappeto jazz di Midnight at the twenty grand, il convulso e trascinante hip hop di The way we make music, il bellissimo duetto per violino e piano There is a God di Geri Allen e Regina Carter

L'apice dell'album,  il brano che rappresenta davvero la summa dell'esperimento detroitiano, è però Think twice: un brano che ha una dinamica ritmica da brivido, in continuo ed incessante crescendo e tensione: basso funk a tirare la volata, svolgimento fusion tra piano elettrico di rinforzo all'impianto ritmico e assoli di chitarra e sax prima che anch'essi tornino a innalzare il climax dinamico, innesti di sintetizzatore che portano l'ascoltatore a tirare il fiato perchè l'adrenalina dell'ascolto è al massimo.

Un disco di nicchia, un perfetto esempio di ibridazione e contaminazione: a distanza di 4-5 anni dalla sua uscita ancora non smetto di ascoltarlo.

Non è facile da reprire, io l'ho comprato su Amazon, ma per chi ama i territori musicali più creativi e meno banali ne vale davvero la pena.

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