La prima opera di questo gruppo sostanzialmente anomalo in quanto a composizione dei membri e orchestrazione dei brani apparve piuttosto innovativa nel lontano gennaio del 1967. A distanza di tutti questi anni mantiene fedelmente quelle basi costruite negli Stati Uniti 40 anni orsono e a mio parere non saprei definirlo come deterrente o elemento che funge da maggiorativo alla complessità dell'opera.
I Doors, formati da Jim Morrison, indubbio artista per le qualità liriche, di profonda saturazione a volte acidamente poetica a volte tendenzialmente necrofora, Robbie Krieger, spagnoleggiante esecutore di gradevoli assoli di cui si riesce facilmente ad apprezzare lo stile, John Densmore, distinto batterista impegnato più a correre dietro alle sonorità vocali di Morrison che ad un ritmo ben preciso e Ray Manzarek, il vero genio del gruppo.
Personalmente vedrei Morrison come un uomo volutamente maledetto, fin troppo ancorato alla visione infante degli indiani massacrati nell'incidente, fin troppo calato nei panni dell'angelo sterminatore, fin troppo convinto dell'idiozia crassa di molti suoi seguaci, fin troppo dispensatore di consigli per bruciare meglio la propria e altrui vita senza rimpiangere di aver dimenticato qualcosa.
Molto meglio il buon Ray, ottimo organista, eccellente sostitutivo di un basso anch'esso da lui suonato ma potenzialmente relegabile, fin troppo attento alle marachelle distruttive del genio fondatore, forse succube o timoroso del suo portento poetico ma innegabilmente esacerbato dalle misture di sangue e farina del caro ma discolo leader. L'assolo di "Light my fire", vero capolavoro della gestione orchestrale del brano, basterebbe a far comprendere ai posteri che il rogo funereo contornato da allusioni fin troppo erotiche, tende più a distruggere la canzone stessa che la ridda di ascoltatori estasiati forse più dalla bellezza maledetta che dal carisma di Morrison.
Anche l'invito omicida rivolto ad una figura paterna forse esiziale e la subitanea volontà incestuosa del semplice ma trascinante accordo di "The end", tende più a distruggere la carriera musicale del gruppo che la vita di Morrison, e siamo appena agli inizi.
Ora i Doors sarebbero stati consacrati (e non so se sia il termine giusto) più dalle leggende che svolazzano intorno la vasca da bagno di quell'oscuro albergo parigino che dalla loro, ripeto, anomala composizione. Già dalla copertina si nota la supremazia inspiegabile di Morrison, dove gli altri componenti del gruppo appaiono incerti dall'ombra dei suoi capelli. Manzarek, Krieger e Densmore, tre abili musicisti coperti in maniera nolente da un fn troppo straripante Morrison.
Indubbiamente bravo, indubbiamente influente ma non senza Manzarek. (Forse).
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