Colpi leggeri alla batteria; una tastiera, che suona come un basso, prepotente, a tenere il ritmo mentre la batteria la accompagna costantemente, con forte accento jazz; una voce entra in campo con "You know the day destroys the night, night divides the day". Un ritornello di puro assalto e un ritorno alla tranquillità, al riff iniziale, con la seconda strofa, sempre con quelle tastiere, onnipresenti, e quella batteria necessaria, trascinante e allo stesso tempo meditativa. Un poderoso assolo alle tastiere fa spazio alla voce di Morrison che urla "Everybody loves my baby" e nel finale sopraggiunge una nuova strofa sulla falsariga della precedente e il ritornello insistente. La struttura strofa-ritornello è un classico del rock n'roll e i Doors mettono in pratica questo sistema per "Break on through (To the other side)", bello e sano rock n'roll anni '60, di ascendenza garage, insano agli occhi di molti che l'ascoltavano in quel periodo.

Il seguente brano, "Soul Kitchen", è introdotto da note di tastiera jazz dal sapore barocco, sulle quali si innestano la batteria e la chitarra, prima che la voce di Jim, da sciamano invasato, dapprima contenuto, si faccia avanti, passando dall'essere dolce a impetuosa. nel ritornello. La batteria fa da accompagnamento ritmico costante, ma sono le tastiere a costituire il marchio di fabbrica del sound Doors, e colui che, piegato totalmente al di sopra di queste, le suona non è un tastierista qualunque, ma l' "aristocratico" Ray Manzarek, capace di far spaziare il proprio strumento, evocando un ampio spettro di possibilità.

La voce nuda di Jim entra subito in scena in "The Crystal Ship", episodio psichedelico là dove l'autore esprime il desiderio di baciare una ragazza prima che lei cada nell'incoscienza. Nonostante i Doors si tagliassero fuori dal movimento e dalla cultura hippie, senza volerlo una canzone come questa può facilmente essere presa per un brano legato a quel contesto, della gioventù dei fiori. Ma c'è molto di più: c'è una sorta di misticismo amoroso, di perdizione che esula dall'appartenenza a una cultura giovanile.

Una chitarra surfeggiante, suonata da Robby Krieger, tesse delle note dolci dando vita a "Twentieth century fox", che parla dell'archetipica donna-volpe, con un voluto gioco di parole, che è anche una sfida ai famosi studi cinematografici.

La seguente "Alabama song (Whisky bar)", seppure sia una cover, rappresenta uno dei momenti più interessanti e originali dell'album. Scritta da Bertold Brecht e musicata da Kurt Weill, "Alabama Song" funge quasi da divertissement, prima che prenda piede uno dei brani più iconici della storia del rock, una vera e propria hit, "Light My Fire", che chiude il primo lato del Vinile.

Il singolo colpo alla batteria di John Densmore, che dà il via a "Light My Fire", è memorabile e non crea dubbi. Le lisergiche tastiere di Manzarek serpeggiano nel famoso riff iniziale, al quale segue la voce calda di Jim, che in un atmosfera sospesa, 50% jazz 50% "new sound" (rock psichedelico) recita l'unico testo scritto da Krieger, nell'ottica dell'album. Paradossale il suo strepitoso successo, considerando, appunto, che è l'unico di "The Doors" a essere stato scritto, non da Morrison, ma da un altro membro della band, che, come dice Johnny Depp in "When You're a Strange", è l'unico a "fare i compiti", cioè il suddetto Krieger. Jim fa divampare l'incendio nel ritornello, urlando, soprattutto live, la "sua" esortazione. La sezione centrale, completamente strumentale, è avveniristica: non era mai successo che una canzone pop, melodica in partenza, sfociasse in una sezione strumentale di quattro minuti. Il dissing tra tastiere e chitarra si fa sempre più spasmodico, fino al ritorno all'origine.

Il lato B dell'LP si apre con un'ulteriore cover, "Back door man", scritta da Willie Dixon, incisa per la prima volta da Howlin' Wolf, cavallo di battaglia nei concerti.

I looked at you" è una delle canzoni più disinteressate e disimpegnate dell'album, anche se vi sono dei versi, scritti da Morrison, che colpiscono per la loro allusività ("'cause it's too late" - troppo tardi solo per l'amore?). Gli strumenti suonano in armonia e la forte empatia tra i membri del gruppo rende il brano non minore (non c'è niente di minore nell'LP!).

"End of the Night", anticipatrice di quella che sarà la chiusa immortale e fatalistica che tutti sapete, è una struggente ballata divisa tra blues e psichedelia, in cui la voce di Jim conduce l'ascoltatore nei meandri della perdizione, negli inferi di un mondo perduto, che aspetta la fine della notte, come aspettando una nuova alba.

"Take it as it comes", sulla falsariga di "I Looked at You" elargisce altre frasi ad effetto ("You've been moving much too fast"), che smentiscono la totale goliardia sonora e canora. Il messaggio è semplice e il titolo esprime tutto: prendila come viene. Carpe diem!

L'album si chiude con il masterpiece al quale alludevo, quello che ritengo sia il più alto "achievement" della storia del rock, una delle composizioni più terrificanti della storia della musica, dello spettacolo e dell'arte in generale: The End. Un imponente pezzo di 11 minuti, che rompe con il passato, che non troverà, a mio parere, degne repliche, ma che influenzerà molti gruppi, soprattutto post-punk ("I Remember Nothing" dei Joy Division può essere considerata la loro "The End"), inizia come un superbo blues psichedelico, sorretto dalle lente note, alienanti, alla chitarra, di Krieger, che subito proietta l'ascoltatore in un altro mondo, di cui non si conosce niente, di cui si può rimanere solo estasiati, come in un' "Odissea nello Spazio" che è ambientata però in lande desolate e in camere d'albergo. La genesi del brano ha a che fare con la rottura di Morrison con una ragazza di cui era molto innamorato. E' solo il pretesto perché l'autore spazi, creando qualcosa di metafisico, di "limitless and free". Psicanalisi freudiana, mito greco, riferimenti alla Roma antica, all'Occidente ("the west is the best") e al mondo dei rettili ("ride the snake ... the snake is long seven miles", là dove il serpente è un'allegoria della strada, della "King's Highway"). Musicalmente e idealmente "The End" può essere divisa in 4 parti: Introduzione; Sviluppo; Sezione edipica; Ritorno alle origini + Dissolvenza. L'introduzione si chiude con "In a desperate land", e funge quasi da primo movimento di una suite; lo svolgimento culmina nella domanda "Driver, where're you taking us?", dove l'autista, figura enigmatica, è aperto a ogni interpretazione (potrebbe essere un traghettatore infernale, o lo stesso Morrison che, in maniera retorica, fa chiedere ai passeggeri la destinazione, con una punta di sospetto/paura); la sezione edipica non ha bisogno di presentazioni, e l'unica cosa da fare è ascoltarsela, per essere ammaliati e terrorizzati; il ritorno alle origini coincide, naturalmente, con il "This is the end", che permette alla band di riprendere la melodia iniziale; la dissolvenza finale, esausta, è rappresentata dall'ultimo struggente "This is the end", subissato dai colpi leggerissimi alla batteria e dagli ultimi rintocchi psichedelici.

Un album epocale, un classico indispensabile nella collezione di un qualsiasi amante del rock. Il miglior album dei Doors, a chius'occhi, e uno dei miei LP preferiti in assoluto.

Voto: 10000000/10

Carico i commenti... con calma