Le luci del bar cominciano a spegnersi ed i pensieri rotolano pigramente sul pavimento. Le pareti trasudano un lento e sensuale blues, mentre relitti slowcore galleggiano tiepidi tra i tavoli; ricordi che goccia dopo goccia riempiono il mio bicchiere, calma apparente di un cuore avvinazzato.

Un violino venuto da chissà dove, mi bisbiglia qualcosa all’orecchio, mi parla della notte, mi scuote; un ultimo sorso ed esco assorto dal locale. Dense nubi occultano la luna e le insegne blu cobalto di negozi chiusi, ridono di me; un basso ipnotico guida i miei passi fra le vie ed una calda voce baritonale ravviva la brace delle mie ansie.

Spettrali presenze elettroniche, accelerano il battito del mio cuore; umide e rade dissonanze pianistiche, bagnano autunnali ritmiche post-rock. Note molli e penetranti, verdastre alla luce dei lampioni; spire sonnambule di un apatico boa sonoro che, fiaccamente, avvolgono le ombre.

Il cuore batte ancora, pompa sangue in ostinate percussioni che si confondono tra i rintocchi di un orologio a pendola; mi dico “basta perdere tempo”, ma è un’altra menzogna, l’ennesima. Niente da fare, non riesco a preoccuparmi; la bellezza della notte mi commuove e nuota con me nella nebbia.

Acquitrinosi magma sonori, mi guidano ad una panchina in riva al fiume: una zattera fredda come la pelle di un rettile. Refoli elettronici e gocce di pianoforte controvento, si accordano con le piccole onde in superficie; sgorga una canzone; dolce malinconia di Slint catatonici.

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