La chiave per comprendere, almeno in parte, la musica di un gruppo può risiedere nelle più svariate variabili: il background sociale dei componenti, il luogo di provenienza, il nome scelto e così via.

In quest’ultimo caso rientra il gruppo in questione: i The Sea and Cake scelgono il loro moniker da un fraintendimento fonetico circa il nome del brano “The C in Cake” dei Gastr del Sol.

E va così che la musica del quartetto di Chicago è divertita (chiaro è l’intento - perlomeno iniziale - di divertissement tra musicisti provenienti da altre formazioni) e divertente (per chi l’ascolta), senza, tuttavia, mai rasentare lo stucchevole o il melenso.

Tra le note di questo debutto omonimo, pubblicato per la Thrill Jockey, si può cogliere un inaspettato lato giocoso e (auto)ironico del post-rock. Post-pop (?), volendo affibiarli l'ennesima inutile etichetta.

Lungo i 46 minuti, suddivisi in 10 tracce, s'incontrano le marimbe della (a suo modo) tropicale “Choice Blanket” e le atmosfere jazzate e rilassate di “Bombay”; le irriverenti incursioni di sax nel groove atipico di “Polio” e di “Culabra Cut”, così come l'uso di un sax più soffuso nella conclusiva “Lost in Autumn”, che si trascina (“So slow you're going”) con indolenza sfociando in 20 secondi di silenzio. Poi ancora il sottofondo noise della chitarra di “So Long To The Captain” e la melodica “Showboat Angel”, che, con un ritornello catchy, sarebbe potuta diventare una semi-hit del 1994.

Semplicemente uno dei dischi più leggeri, come la testa tra le/di nuvole del ragazzo in copertina, che abbia avuto la fortuna di ascoltare.

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