Tante persone lodano, apprezzano, divinizzano la musica dei Velvet Underground: "il primo album- dicono - è uno dei più grandi dischi della storia, per brani, suoni, innovazione...., "White Light/White Heat" è l'apice dello sperimentalismo rumoristico, Loaded (da non credere, ma molti lo pensano veramente) è per certi aspetti la loro migliore prova". A parte gli immeritati apprezzamenti su un disco banale ed in parte trascurabile come "Loaded", lo scandalo maggiore di queste recensioni è l'aver dimenticato il terzo grande ed insolito capolavoro del quartetto (in gran parte) new yorkese.
"The Velvet Underground" è da molti definito come "una semplice curiosità nel catalogo velvettiano, un'opera in cui l'originalità viene a mancare a seguito dell'allontanamento di John Cale". Idiozie! Sono uno sfegatato fan di John Cale, eppure, riascoltando ripetutamente questo disco, mi accorgo della sua (non scontata) bellezza.
"The Velvet Underground" è forse (tenetevi forte che la sparo grossa) l'album nel quale Lou Reed manifesta più chiaramente la sua genialità individuale: mentre nei due precedenti album era sempre stato affiancato da Cale, e nei migliori lavori della sua successiva carriera solista sarà accompagnato da musicisti di grande spessore come David Bowie, questa volta ha pieno controllo di ciò che suona. Da adesso si cambia musica: i suoni diventano più puliti, si abbandona lo spirito sperimentale, i residui psichedelici sono quasi scomparsi, l'anarchia sonora è finita!
La voce di Doug Yule (sostituto del vecchio John) apre l'album con "Candy Says", delicata nella musica, ambigua nei testi. Si tratta di una grande svolta nella carriera del gruppo, una svolta che è costata molte critiche e dissensi negli ultimi quarant'anni. "What Goes On", con il suo ritmo catturante, nevrotico, corrosivo, sembra dire "FALSO ALLARME" e riporta al disordine delle prove precedenti (lo dimostra lo splendido assolo di chitarra, perennemente in bilico fra melodia e caos). Ma la succesiva "Some Kinda Love" e la sublime "Pale Blue Eyes" sono la conferma di una radicale metamorfosi artistica.
"Jesus", "Beggining To See The Light", "I'm Set Free", "That's The Story Of My Life" sono irritanti per coloro che si aspettano musica alternativa e provocatoria, ma non si tratta di un declino artistico, di una perdita di originalità. "The Murder Mystery" è il momento più cupo ed inquietante del disco: voci sovrapposte, rumori, ritmi tribali in piena tradizione psichedelica sembrano dare l'ultimo addio ai vecchi Velvet, e dare il benvenuto ad un nuovo stile più composto.
L'ultimo di dieci brani è "After Hours", delicato ed ironico commiato acustico con Maureen Tucker alla voce. La tensione del precedente brano svanisce, ricordando per intensità musicale il finale di "Live/ Dead" dei Greatful Dead" oppure "Happy Trails" dei Quicksilver Messenger Service.
Questo dimostra come la parola dei critici abbia un'importanza limitata, essendo talvolta responsabile di aver sottovalutato opere di grande bellezza, non avendone completamente afferrato il fascino.
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