Era il 1967 e quasi nessuno se ne accorse dato che in quel periodo, in cui dominavano le “buone vibrazioni” delle hippies’ bands (Jefferson Airplane e Grateful Dead su tutte), i Velvet di Lou Reed e John Cale potevano solo essere uno shock.
Nello stesso anno uscì il secondo album: White Light/White Heat, dove il lato sperimentale è più accentuato rispetto al precedente ma privo della voce glaciale ed eterea della femme fatale Nico (imposta al gruppo dal padre della pop art Andy Warhol, produttore del primo disco).
A parte queste due opere, credo che per comprendere l’esatto spirito della band di New York City non si possa tralasciare il loro ultimo album prima della svolta solista di Reed, ovvero l’omonimo The Velvet Underground (Verve,1969).
Riferendosi ai precedenti per qualcuno il disco potrebbe passare inosservato, visto che Reed elimina del tutto le asprezze del loro sound e manca il forte sperimentalismo di Cale. La foga ciclonica di Moe Tucker pare frenata e i tempi di "Venus In Furs" e "Heroin" sembrano essersi dissolti.
Quello che però rende unici i V.U. è rimasto. Basti pensare a brani come "Candy Says", soave ma eterna, dove il nuovo bassista Doug Yule imita il canto fiabesco di Nico; all’incalzante "What Goes On" che si libera in un crescendo vertiginoso di chitarra e organo e costituisce l’estremo saluto ai tempi dell’acido, riprendendo la pulsante "Run Run Run". C’è spazio anche per una ballata blues come "Some Kinda Love" (scarna e dimessa) e per una perla come "Pale Blue Eyes", scolpita con leggeri tocchi di organo e basso. La voce di Reed non è mutata, a tratti candida, a tratti sommessa e cupa, vero marchio di fabbrica del padre fondatore del glam-rock decadente.
Prestando attenzione, riecheggiano anche i tribalismi nevrotici dei primi capolavori, mi riferisco a canzoni come "Beginning To See The Light" o "The Murder Mystery", dall’intro carico di suspense che dona un’atmosfera metrpolitan-noir facendolo il più sperimentale tra i brani.
Non è un’opera immortale come quella che si presenta con la mitica banana di Andy, ma credo che sia importante per poter comprendere al meglio il percorso creativo di un gruppo che ha cambiato la storia della musica rock.
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