Ormai è ben nota a tutti la tremenda bulimia musicale che affligge Mike Portnoy: il batterista di Long Beach da anni svolge una febbrile attività che l'ha coinvolto nei più disparati e numerosi progetti. Che si trattino di vani tentativi di lenire il trauma della violenta rottura con i Dream Theater? Difficile dirlo (anche se ultimamente le sue dichiarazioni in merito fanno pensare ad una certa dose di rosicaggio), fatto sta che questa tendenza ha dato origine a progetti diversissimi quali Flying Colors, Adrenaline Mob e le brevi collaborazioni con Stone Sour e Avenged Sevenfold.

Progetti in gran parte effimeri, destinati al limbo dei side projects "portnoyiani".  

Vorrei parlare di una di queste formazioni, la più recente e, probabilmente, la sola dotata di un' alchimia unica, che scaturisce dall'intesa fra tre talentuosi musicisti al top della scena mondiale.

 

Ma andiamo con ordine: nel luglio del 2011, Portnoy comincia a lavorare con il celebre chitarrista John Sykes e il virtuoso del basso Billy Sheehan ad un progetto in stile power trio; tuttavia, l'incostanza di Sykes fa calare il progetto a picco e manda a spasso i due restanti membri del gruppo.E' in questo delicato frangente che viene fatto il nome di un chitarrista di LA da anni affermato sulla scena, ovvero Richie Kotzen.

La nuova formazione si chiude in studio nel 2012 e all'inizio del 2013 termina le registrazioni del disco. Nascono così i "The Winery Dogs".

 

Di cosa si tratta? Fondamentalmente ci troviamo davanti ad un eterogeneo disco di hard rock tecnico ma asciutto, senza troppi fronzoli, in cui la sezione ritmica fracassona e dinamica di Portnoy e Shehaan accompagna le tessiture chitarristiche/vocali di Kotzen.

Non c'è quindi da stupirsi nell'imbattersi in tiratissimi pezzi di hard rock quali "Elevate" o "Not Hopeless" seguiti da dolci ballate (marchio di fabbrica del Kotzen odierno) come "Damaged" e "Regret" e momenti più bluesy come "One More Time", "Desire" o "The Dying" (il mio preferito del lotto), per arrivare ad un totale di tredici tracce sempre contraddistinte da spunti melodici, cori a tre voci, virtuosismi su ciascun strumento nel rispetto del brano e mai fini a se stessi.

Da segnalare in rilievo le due bonus track, ovvero "Criminal" e "Time Machine"; la prima è un pezzo sporco e aggressivo con adrenalinici e repentini assoli, mentre la seconda è contraddistinta da una strofa orientaleggiante alternata ad un ritornello a tre voci molto melodico e di grande effetto; una è destinata al mercato giapponese, l'altra a quella occidentale.

I ragazzi sono "on fire": sentiamo un Billy dal suono più distorto che mai (alla larga, puristi!) e il solito Mike dai fills a tratti tecnici, a tratti pestoni; è tuttavia Richie a sorprendere maggiormente con ruvide, fulminee parti di chitarra ed esecuzioni alla voce di grande qualità, che vedono l'apice nei due pezzi finali del disco (le già citate "The Dying" e "Regret"). C'è comunque un equilibrio solido tra le forze portanti e nessuno dei tre che cerca di imporsi sugli altri, a beneficio quindi di un sound compatto e coinvolgente.

 

"The Winery Dogs" è un lavoro che tutto sommato convince grazie ad un songwriting ispirato ed alla grande immediatezza nell'ascolto: sarebbe un peccato lasciare che l'umore lunatico di Portnoy impedisca al progetto in questione di diventare una band consolidata che duri nel tempo. Chi vivrà, vedrà.

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