Messi a riposo i Television, Tom Verlaine non poteva fare altrettanto per quanto riguarda la propria chitarra. L'anoressico leader della band che durante la seconda parte degli anni 70 ha popolato buona parte delle scene underground di New York e che ha riassunto l'essenza della new wave americana pubblica nel 1979 il proprio debutto solista con l'intento di proseguire il discorso lasciato lì appena un anno prima con "Adventure", sèguito del capolavoro "Marquee Moon". 

Fred Smith al basso è l'unico degli ex compagni che lo segue nella realizzazione di quest'opera il cui marchio è fin troppo facilmente riconducibile a quello dei Television, la voce e la chitarra unite in un'entità sola e indivisibile, il tappeto sonoro colmato di riff ripetuti ed ossessivi ed assoli vibranti che spuntano in ogni dove.

Bastano le prime aspre note di "The Grip of Love" per ritrovare tutto quello stile che Verlaine fa sempre più suo fino a farlo diventare un tatuaggio sulla propria pelle ed accorgersi che i Television hanno qui la loro naturale prosecuzione, perchè di fatto questo disco non smonta nulla di quanto era già stato detto nei capitoli precedenti ed anzi lo sottolinea. Tom Verlaine mantiene il consueto modo di cantare tremante ed alienato anche laddove i pezzi sono meno rock e si avvicinano più alla ballata ("Souvenir from a Dream", "Last Night") e quando non trova valvole di sfogo al proprio malessere si affida al suono nervoso e lamentoso della chitarra che diventa ripetitivo fino ad ipnotizzare ("Breakin' in My Heart") e in alcuni casi sembra urlare ("Mr. Bingo").

L'ambientazione è sempre quella metropolitana, il mondo di Tom Verlaine è New York City che come spesso accade diventa l'astrazione di ogni grande città e della modernità intera, dei suoi lati oscuri, i suoi graffiti, le sue barriere invisibili, la sua cappa di depressione senza via d'uscita se non quella onirica; la buffa "Yonki Time" rappresenta, a questo proposito, una delirante evasione temporanea. "Kingdom Come" ha un'efficacia fulminante e sedurrà anche David Bowie, mentre "Flash Lighting" è con ogni probabilità il pezzo migliore del disco: la voce di Verlaine in alcuni tratti sembra ricacciare momentaneamente indietro quel deficit d'emozione che la caratterizza e si lascia andare trascinata da una visione mistica, prega e con lei prega la chitarra, pregano assieme genuflessi, magari una salvezza c'è.

"Marquee Moon" di fatto rimarrà sempre il simbolo di tutto ciò che di buono ha combinato Tom Verlaine nella sua vita e sono in molti a ritenere che quella avrebbe dovuto restare la sua opera unica, tuttavia la carriera solista che da qui, nel lontano 1979, ha avuto inizio amplia il capolavoro, estende il discorso senza renderlo noioso e lo porta lungo i vicoli più bui di New York, dove si annidano le ansie che trovano espressione, corpo e forma nei suoi assoli pungenti e disturbati. La sua chitarra è la sua anima che cerca di fuggire.
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