The Joshua Tree è un nome evocativo, potentissimo, fortemente riconoscibile ovunque. Pochi altri dischi hanno titoli (e simboli) così evocativi sostenuti da contenuti così pesanti, pensiamo a: “Dark Side Of The Moon”, “Exile on Main Street”, “Nevermind”, “Born to Run”, etc…
“The Joshua Tree” rappresenta un’epoca e una pietra miliare nella musica Rock da diventarne sinonimo, evoca nel fan degli U2 una sensazione di benessere che è difficilmente descrivibile; per tutte le altre persone non iscrivibili nella cerchia di fan trasmette comunque ammirazione e rispetto.
The Joshua Tree doveva chiamarsi “The Two Americas” e doveva essere un album doppio, con due volti, come l’America, quella buona e quella cattiva, quella ricca e quella povera.
Un termine anche questo che nell’immaginario comune rappresenta e simboleggia qualcosa di mitico, di irraggiungibile, di meta da raggiungere tanto che l’espressione “hai trovato l’America” non esiste a caso.
Eppure l’America, che per come viene intesa da molti rappresenta gli Stati Uniti d’America, ha da sempre un doppio volto.
Lato A e Lato B di cui Bono e soci si sono accorti nei loro viaggi e che hanno deciso di mettere in musica e che ancora oggi è così.

La stessa copertina è bianca o nera, è unalbero in mezzo al deserto.
Acqua e deserto, vita e morte, bianco e nero, buio e luce, questo è The Joshua Tree, questo è l’album più evocativo di questa band di due lettere, due, come i volti dell’America, due opposti anche qui: una lettera e un numero.
Eppure estremamente legate e collegate tra di loro tanto da non poter essere divise e soprattutto da non poter vivere una senza l’altra: Con o senza te, with or without you.
The Joshua Tree fin dalla copertina è undisco di “estremi”, così lontani ma così vicini. Un albero solo, in mezzo al deserto della Death Valley, non un albero tra tanti, ma un albero in mezzo al deserto… cosa c’è di più opposto di un albero che affonda solitamente le sue radici in un terreno fertile con un deserto dove di fertile c’è ben poco?
Eppure The Joshua Tree parla di questo, del bianco (Where the streets have no name) e del nero (exit), dei buoni e dei cattivi…

Ed ecco che ritorna la dicotomia inscindibile di questo meraviglioso album: in The Joshua Tree si parla di pioggia, di acqua, di oceano, di fiumi e di alluvioni ma allo stesso tempo si parla anche di deserti, di aridità, di montagne e di pianure, di vita e di morte… l’acqua nel deserto. Esiste qualcosa di più opposto dell’acqua in un deserto? Un proiettile nel cielo blu, l’immagine stupenda di un cielo blu contrapposta al terrore di bombe e aerei da guerra.
E non è solo l’alternanza di paesaggi e di natura contrapposta, ma anche di atteggiamenti: parlare con gli angeli e dare la mano al diavolo, una mano “calda nella notte” (di solito più fredda del giorno), freddo come una pietra (quando il corpo umano è caldo): vita e morte, luce e buio, la contraddizione fa di The Joshua Tree la perla più rara.

Eppure la divisione non è un limite, è un vantaggio e questo vantaggio diventa sempre più chiaro man mano che ci pensiamo. Non può esistere il giorno senza la notte, non può esistere il buio senza la luce e la luce senza il buio, non può esistere il bene senza il male, yin e yang, acceso e spento, zero e uno, vita e morte.

Con o senza te, questo ci insegnano gli U2 di The Joshua Tree, che esistono sì gli estremi, ma in mezzo ci sono miliardi di sfumature e noi siamo questo e non possiamo scegliere un estremo o un altro; gli U2 sono questo, una band di contraddizioni, una band che inizialmente può dividere ma alla fine unisce perché nella storia degli U2 c’è tutta la gamma di sfumature dell’universo, e sì, ci siamo anche noi.

Angelo o diavolo
Ero assetato
E tu bagnasti le mie labbra

Auguri a The Joshua Tree

Carico i commenti... con calma