Con degli stacchi esaltanti inizia il disco del super gruppo U.K., rappresentato da dei grandi progmen del tempo. E' il 1978, John Wetton e Bill Bruford sono reduci dalla rossa esperienza crimsoniana, Allan Holdsworth  cerca come sempre di tirare avanti con la sua compagna a sei corde ed Eddie Jobson se la suona tranquillamente con Frank Zappa, dalla cui band viene letteralmente rubato.

Si forma dunque la band britannica per eccellenza, il nome è già tutto un programma, e i componenti hanno il gusto di unire la grandezza del progressive molto in voga a quei tempi con la raffinatezza del jazz tanto amata dal chitarrista. Il risultato è ottimo e purtroppo ne è da testimone un solo omonimo disco. Come U.K. escono altri prodotti, ma la magia ormai è svanita perchè Holdsowrth e Bruford lasciano dopo due lunghi tour, e lo stile, pur rimanendo nel genere, cambia. Il quartetto diventa trio, con l'entrata di Terry Bozzio, per soli due anni, in cui vengono prodotti altri due dischi prima di abbandonare definitivamente il progetto. Chissà come sarebbe cambiata la storia di vari gruppi se avessero deciso di rimanere insieme. Forse John Wetton non avrebbe dato vita agli Asia o forse Ian anderson avrebbe trovato il tastierista della sua vita, chissà... Ma è inutile vivere sui se e sui ma, l'importante è ciò che la storia (e l'uomo) ha creato.

Ma tornando agli stacchi dell'apertura del disco, essi introducono energicamente la lunga suite divisa in tre canzoni: "In The Dead Of Night" è la prima, e tutta l'aggressività che nasce dalla freschezza e dalla energia di una nuova collaborazione si fanno sentire con voga: il riff è geniale e sublime, la voce di Wetton (ancora) energica mentre suona il suo tesoro a quattro corde e l'ottimo Bill Bruford si interseca bene tra i suoni di tastiera e i fraseggi di chitarra. Dopo aver toccato i picchi di esaltazione si passa a "By The Light Of Day", stessa storia ma finemente rallentata, dove il moog spadroneggia psichedelicamente, unendosi agli altri strumenti in un crescendo che introduce la coda finale della suite: "Presto Vivace And Reprise", un complicato e progghissimo finale che fa accapponare la pelle per un breve periodo di tempo, per poi riprendere il tema delle canzoni precendenti, sue sorelle in arte. Il disco vale già solo questo incredibile inizio.

Atmosfere più dolci avanzano per il tranquillo ma angosciante intro di "Thirty Days", che vede dei fantastici tempi irregolari e assoli di chitarra e tastiera per il resto della canzone, aprendo le danze al jazz. Danze che si concluderanno per il genere solo alla fine del disco: "Alaska" ne è l'esempio lampante, con le tastiere accelerate a maniera esagerata, che si protrae nel pezzo successivo "Time To Kill", dove, come se non bastasse, Wetton fraseggia in modo squilibrato.

Ad Allan Holdworth sono affidate le ultime due canzoni, con un intro acustico mozzafiato che introduce una poco convincente "Nevermore", che con le sue parti cantate tedia un po', ma viene risollevata dalle fantastiche improvvisazioni del chitarrista e dal gioco di botta e risposta tra lui e tastiera. Il jazz domina qua!

"Mental Mendication", a parte il suo bellissimo titolo non ha molto da offrire, perché in pratica è uguale alla precedente.

Nel complesso un disco che comincia alla grande ma che poi si smoscia pian piano, scadendo nel jazz più esemplare, quello fatto di mera tecnica (che i musicisti in questione possiedono in quantità non indifferente). Un esperimento di jazz-prog tutto sommato egregiamente riuscito.

Carico i commenti... con calma