"Tutto ciò che diciamo o facciamo è stato già detto o fatto, quindi siamo degli stronzi!!"

È possibile schematizzare il nulla? È possibile assegnare un significato profondo all'autoconfutazione? È possibile essere una cosa ed allo stesso tempo il suo esatto opposto? Spesso me lo chiedo, perchè ogni volta che ascolto gli Uochi Toki mi convinco sempre di più che è quasi impossibile anche solo teorizzare un confine più estremo di quello tracciato dalle logiche e dalle convenzioni morali certamente massificate, le quali durante secoli di grumosa partecipazione individuale hanno contribuito alla consolidazione di una attuale, pericolosa vergenza della mentalità umana; potremmo addirittura azzardare che questo è forse l'unico limite esistente dato che il potere della descrizione non fa altro che ricadere puntualmente nel dominio della sintesi del linguaggio: "ebrrreo! Questa parola ti suona come un insulto ma è solo una serie di lettere pronunciate con una intonazione serrata. Il suo significato cambia a seconda delle interpretatio. Prova a ripeterla per dieci minuti. Assisterai all'inverosimile prodigio della distruzione dei significati".

Ed ecco a voi signore e signori gli Uochi Toki! Qui siamo nel loro territorio. Ascoltando attentamente le loro folli digressioni si ha la sensazione di compiere un viaggio a ritroso nel tempo, un viaggio che ci porta a raggiungere le viscere, il cuore pulsante della storia della socializzazione umana, fin dai primordi nata come esigenza di condividere spazi aperti e di costituire un sistema sociale in grado di imporre ordine, per indottrinare la natura di uno spirito ribelle, fino a dominarlo del tutto.

La storia di questo terzetto (loro sono Napo, autore dei testi, Rico e Fele alle basi elettroniche), adottato dalla Milano oramai iper-industrializzata, originario di Alessandria (noto comune piemontese), e sponsorizzato dalla etichetta fiorentina Burp, ci porta ad associarli ad una parte di quello spesso sottostrato appartenente alla scena musicale underground nostrana; nati dalle ceneri dei Laze Biose, gli Uochi riescono a piazzare ben quattro album a proprio nome a partire dal 2003, vantando anche alcune collaborazioni preziose (Bugo, Eterea Postbong Band), fautori di un modus vivendi totalmente anticonvenzionale. Il loro secondo capitolo "Uochi Toki", uscito nel 2004, è un completo paradosso, presenta 81 tracce senza nome, che mediamente rasentano il minuto e mezzo di durata; rumori, interplay agghiaccianti, subdole voluttà onanistiche, brani incompleti che marciano sfasati e mescolati a brandelli di altri pezzi, insomma c'è veramente di tutto.

Glissando, per ovvio amor della semplicità, ogni eccessivo moto serioso va detto che sembrerebbe sorgere dalla delirante urgenza comunicativa di Napo un desiderio "malsano" di esporre, come si espone la merce in vendita, un'arcigna fallibilità del carattere umano; come moderno anti-eroe getta un urlo sordo, strozzato in gola per evocare un patto di redenzione universale, un tentativo di smascherare ogni assurdo cliché, di giocare o anche solo di potersi accostare alla ragione prima, alla quintessenza di un sistema di pensiero puramente associativo e disconnesso, per dimostrarne in toto l'infondatezza e l'inconsistenza.

Eppure in questo marasma sonoro-esistenziale gli Uochi Toki non pretendono di regalarci il piacere di una prospettiva alternativa più fantasiosa e meno indulgente, ma si lanciano, con una enorme dose di ironia, nella orgiastica parata del non-sense da loro stessi sapientemente architettata. Proprio per questo gli Uochi si scoprono, alla luce di una analisi più sincera, a compiere l'ardua impresa di risultare imparziali nella loro comunque grottesca e fortemente nichilista provocatorietà; potreste definirli ruffiani, ipocriti, geniali ed avere tutti, a vostro modo, ragione; è forse questo il segreto dell'insolita attrattiva che riescono a suscitare con la loro forma d'arte suicida ed autolesionista: "Ascolta meglio i nostri discorsi, la tua superficialità è la fonte del tuo essere d'accordo con quello che diciamo, ed io non chiudo un occhio solo perché mi dai cinque euro!".

Musicalmente e tecnicamente stiamo parlando di un vero e proprio pugno allo stomaco; l'impatto del magma elettro-noise dotato di possenti quanto scarne basi drum'n'bass ed esaltazioni garage-punk (vedasi le frequenti incazzature chitarrose made in "Vocapatch", il loro primo album, che rasentano lo stordimento) è micidiale, le ritmiche dispari spesso urticanti fanno da tappeto ai duri monologhi, traboccanti di asimmetrie concettuali, rigurgitati da Napo; il tutto confluisce in una commistione difficile da digerire, nauseante per certi versi, eppure irresistibile ed ipnotica, per quello che rappresenta il reale capolinea dei loro orizzonti sperimentali.

Se è vero che negli anni si sono progressivamente normalizzati (a livello musicale) conferendo un formato meno dispersivo e confusionario, per certi versi più rock o addirittura hip-hop, alle solite schizofreniche denunce a tutto campo, l'imprevedibilità della loro scelta mi rende impossibile anche solo pensare a cosa li potrà attendere nel futuro prossimo.

Riesco però ad immaginarli al varco con un nuovo lavoro, con quel loro ghigno menefreghista, sprezzanti di tutto e di tutti; di noi... persino di loro stessi... pazzoidi filosofi della regressione spirituale. 

"Quando scrivo devo regredire, perché nel mio caso il livello superiore è non avere un'opinione"

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