Disco per alcuni versi sottovalutato e rimasto sempre sotto quel velo di "underground" e mistero, "Visage", album d'esordio del gruppo omonimo racchiude in se l'essenza del movimento new romantic inglese che nel 1980 (data della pubblicazione) raggiungeva il suo apice non solo nei circoli musicali colti ma anche (incredibile) nelle sale da ballo, spodestando con la sua decadenza e modernità irresistibili la disco music, rea di essere solo un rimasuglio marcio degli anni 70, morti e sepolti per l'eternità. L'elettronica tedesca dei Kraftwerk era già stata rielaborata e "anglicizzata" da Bowie e Eno proprio a Berlino, la tecnica avanzava a passi di gigante, la storia del rock era a una nuova svolta e a un nuovo periodo di sperimentazione. La scena era pronta: Ultravox, Japan, Roxy music, OMD e Joy division erano già all'opera. Le gesta del new romanticism sono narrate non solo dal punto di vista sonoro ma anche dal punto di vista visivo e in questo sta tutta la sua bellezza e la sua modernità che solo gente come Oscar Wilde riuscì a vedere in così forte anticipo. Il connotato visivo, che prima era semplice e pura apparenza viene elevato allo status di sostanza, anzi, la forma viene addirittura elevata ai livelli della sostanza e la confezione cominciava a valere quasi come il contenuto. Tutto questo fu la genesi e la rovina degli anni 80 ma anche una rivoluzione massiccia che stava colpendo ogni campo mediatico, soprattutto quello musicale.

La storia dei Visage comincia in un club di Londra, il "Blitz" , dove si concentrava la scena neo-romantica della città. Capelli tinti, acconciature stravaganti, vestiti particolarissimi, classe, eleganza europea, decadenza, estetismo e dandismo erano i maggiori connotati di un luogo dove sembrava al tempo stesso di tornare indietro di un secolo e di essere più avanti di tutti. Il proprietario era un tale eccentrico di nome Steve Strange. Un tale che un giorno reclutò un gruppo di musicisti (tra cui alcuni suoi illustri clienti, il cantante e il tastierista degli Ultravox, rispettivamente Midge Ure e Billy Currie) per formare un gruppo musicale che immortalasse sul vinile la scena neo romantica del Blitz. Ne venne fuori un disco dai forti connotati e sicuramente una pietra miliare della new wave. Dalla copertina decadentista all'ultima traccia il disco conserva uno spirito volutamente sperimentale, estetico, dandy alla millesima potenza, nostalgico e avanguardistico. Il viaggio nella trasgressione e nell'ambiguità comincia con il battere in quattro di "Visage", ouverture dell'opera, che spazia tra battiti ipnotici, una linea di basso penetrante, chitarre distorte e vagiti sintetici. Il ritmo non si ferma con "Blocks on blocks" , che presenta la voce di Ure e Strange in tutta la loro classe e freddezza, usate quasi come dei martelli, circondate da vocoder e synth ancora più marcati. Nella strumentale "The dancer" l'elettronica prende il posto dell'acustica, sebbene spunti a sorpresa dai synth sovrapposti un sax. Archi sintetici vanno a completare un brano che vuole essere un brioso jazz, contribuendo a ricreare quell'artificio che è l'essenza del dandy e della clientela del Blitz. Lo swingante ritmo che in realtà non esiste se non in un flusso di elettroni prosegue nella più veloce ancora "Tar" , primo singolo dalle velature vagamente spensierate e che in realtà preparano al botto più significativo del disco (nonché singolo di maggior successo) , che resterà nella storia della musica. Sarà campionato e remixato migliaia di volte, si eleverà non a a torto a emblema di una generazione di giovani eleganti sospesi tra due ere e del new romantic globale. "Fade to grey" infatti è questo e molto altro. Da quella nebbia sintetica si elevano le percussioni elettroniche, poi dalla foschia impenetrabile si alza tutt'un tratto un'armonia infernale, tetra, in bianco e nero e una voce si eleva dai fumi della città, per sussurrare "We fade to grey". Il secondo lato del disco non manca di stupire. Si parte con "Malpaso man" , che forse è un pelo sotto il livello qualitativo medio del disco, che nonostante ciò si mantiene bello alto. Quelle armonie dissonanti e distorte comunque non mancano di affascinare e a mantenere l'atmosfera. Poi ti arriva uno schiaffo in piena faccia, per ricordarti che il sogno non è affatto finito: introdotta dal rumore di carillon e di campane tubolari fa il suo ingresso la sublime "Mind of a toy", ornata di tutta l'eleganza e l'opulenza di cui Strange e compagnia sembravano capaci di immaginare. E così, notturna e affascinante come la luna, si lascia scorrere quella melodia infantile che colpisce il cuore e lo imprigiona nel suo fumo narcotico e allucinogeno. La favola finisce con le ultime note di un carillon. D'improvviso ci si trova tra i ritmi militareschi e serrati (con tanto di cori russi) della notte moscovita nello strumentale di "Moon over Moscow". Ultimo brano cantato è anche un gioco di parole, "Visa-age" , come a sottolineare l'arrivo di un'era (previsione azzeccatissima) in cui il denaro avrebbe significato molto, come l'immagine. La chiusura del sogno e della serata fatta di trasgressione e peccato è affidata a "The steps", oscura e misteriosa come solo le vie della Londra vittoriana potevano essere di notte.

Di sicuro questo è un disco con le qualità giuste che una persona di classe cerca e che non deve lasciarsi sfuggire. Sono 40 minuti che vale proprio la pena di spendere per provare quello charme europeo in cravatta, cilindro e bastone da passeggio che tanti affascina. Magari su una poltrona e una tazza di the caldo in mano.

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