“Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte”. (cit.)


Se le tue influenze sono i Suicide e i Blondie, hai seguito da vicino le vicissitudini artistiche dei The Kills, le premesse sono incoraggianti. In più vorresti essere una sorta di produzione hip-hop, alla Bomb Squad, ma applicata al r’n’r.

I Warm Drag, nati a Los Angeles negli anni ’10, sono il batterista Paul Quattrone (ex !!!) e la vocalist Vashti Windish (ex K-Holes). Questo è il loro debutto datato 31 agosto 2018.

Propugnano un suono sotterraneo che, dietro un’anima garage, palesa influenze dub, hip-hop e synth minimal, stendendoci sopra la vernice di un acchito volubile.
Riff, rumori e ritmi contraggono un chiaro debito coi pionieri dell’electro-punk.

Sulle distorsioni stratificate di "The Wanderer" Quattrone comprova le sue modeste doti vocali, ma lascia subito lo spazio al canto indulgente della Windish che, svogliato e sensuale, pare nascondere il miele sotto la pece; come accade nella fascinosa e sinistra "Cave Crawl" (nel chorus scava con le unghie intorno ai contorcimenti della chitarra effettata), nel fulmineo cyber-punk "No Body", nella viziosa filastrocca da dark club disco “Lost Time” o nel presunto idillio amoroso di “Sleepover" (vagamente dream pop). "Cruisin 'the Night" rivisita "Ghost Rider" dei Suicide; l’impostazione del duo alternativo, batteria e chitarra, rivive in "Hurricane Eyes”. "End Times" sembra la corruzione di una canzone blues; così anche "Someplace I Should not Be”. Il patchwork collageistico "Parasite Wreckage Dub" chiude l'album con un alone ancor più iperreale, psichedelico e ansiogeno.

“Warm Drag” è un pastiche organico. Il fascino è in gran parte racchiuso nel suo suono solo in apparenza povero: quello analogico, quello sintetizzato, quello automatizzato coabitano e sfociano l’uno nell’altro. Il lavoro certosino su riverberi e delay dà volume all’opera, nonché una patina convenientemente retrò ma futuribile. Il collante è l’urgenza, un’urgenza ferita, andando dal rock’n’roll all'elettronica, dal dub al noise pop, dal funky cadaverizzato all'alternative rock bohémien. E fino alla fine ammaliando in modo surrettizio.

Sintonico con la decadenza metropolitana degli scenari che evoca, questo lavoro (seducente, minaccioso e inquieto) attesta la limpida allucinazione del rock che ancora un poco tremola e luccica.

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