Le esplosioni di violenza, di umori, di sensazioni mistiche e sudicie. 
Straordinari caleidoscopi in bianco e nero, fotografie sgualcite, polaroid bruciate. Fumo, terra, fango. 
Grottesche e strabilianti esalazioni di libido, di sudore, di sguardi che scatenano sindrome di stendhal, di semplicità e complessità.

La musica dei Warsaw, prima dell'avventura Joy Division, suona proprio come la complessità che si tramuta in spontaneità crescende, in rincorse su suoni, note e ritornelli rovinosi, su attitudini punk che pongono basi, radici e terra al suono che verrà, alla splendida tragedia sonora sotto quei dischi, "Unknown Pleasures" e "Closer", che mai ho abbandonato, che mi accompagano sempre, come dei genitori timidi e rabbiosi, come amici d'infanzia.

La musica dei Warsaw è cruda e violenta, ma anche ipersensibile: il genio di Ian è già tutto qui. Dalla cantilena new-wave di "They Walked In Line" al frenetico punk di "Failures", si disgregano emozioni potenti e impalpabili, che marchiano anima, corpo e cuore. Uno scatenato precipitare nel fango più sporco e indelebile, come un ricordo, come un fallimento, come una disgrazia. Non tutto suona alla perfezione, ma la bellezza è proprio questa: la mancanza assoluta del terrore, in favore di un terrorismo gridato e sfiancante, di colpi secchi di chitarra e batteria.

Del continuo e intenso girovagare di una voce indimenticabile.

"Warsaw" è questo: una fotografia bruciata e invisibile capace di colpire come nessun'altra.  
Non solo musica. 

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