E così, dal nulla, sbuca fuori un disco come questo “Wildest Dreams”, e rischia di aggiudicarsi la palma di disco psych dell'anno. Ancora più strano sapere che dietro tale nome celasi DJ Harvey, DJ inglese con un passato da batterista nei '70, e figura cardine nell'importare in Inghilterra la techno di Detroit a fine '80. Si insomma non la prima persona a cui si penserebbe ascoltando il disco. Disco che, seppur un divertissement dichiarato dall'autore, risulta più credibile di molti nuovi adoratori del suono acido vintage.

Un piccolo breviario di psichedelia molto groovy, guidata spesso da un torrido Hammond Rhodes. A volte funk, a volte cosmico, il disco va da solo e quando imbrocca l'onda giusta riesce ad essere un incrocio impensabile fra i Tagliatori di teste di Herbie Hancock e la Tempesta di Cervelli degli Hawkwind. Per carità nessun capolavoro dietro l'angolo, ma un disco pieno di “good vibrations”, che uno pensa suonato da fratelli neri, e invece è il parto di un DJ bianchiccio albionico.

Si passa senza soluzione di continuità da esempi di proto psych rock con overdose di wah wah (“Bosh”), a inni alle strade della California funky style (“405”), fino a tributi citazionisti ai fratelli krukki dei '70 (“Yes We Can”). Citazione d'obbligo per le due lunghe elucubrazioni per organi e bassi ipnotici di “Pleasure Well” e “Off The Lip”, e per il tiro funk con lunga coda cosmica di “Last Ride”. Gran gusto il buon Harvey, anche nella scelta della cover del disco, chiaro tributo al disco solista di Randy California, chitarrista e leader degli Spirit.

Musica per organi(smi) caldi


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