Have A Good Trip, dear.

Fragili armonici procedono senza fretta. Si aggiungono gli altri strumenti, compenetrazione in un lessico essenziale, seppur complessissimo. Ritornello disperato e rassegnato.

La complessità è un po’ il filo conduttore che unisce tutti i pezzi; una strana evoluzione del prog. Se i Re Cremisi procedevano senza badare troppo all’orologio unendo improvvisazione a composizione secondo una procedura tipicamente jazz, qui ogni pezzo è frutto di una progressiva scarnificazione del suono, una struttura che lascia trasparire la nudità o gli accoppiamenti. Si potrebbe dire un prodotto troppo ”sorvegliato”, ponderato, cervellotico, eclettico: un congegno astratto di autentica bravura. La bellezza di una meccanicità automatica, nichilisticamente reattiva e convulsa.

Ai pezzi di questo filone ("Have A Good Trip, Dear”; una “Pale Horse Sailor” da brividi: linea melodica ridotta a due note, basso e batteria in fibrillazione, batteria da maestro!!!, avanguardistica, lanciata sui 250 all’ora, segue un percorso di eccitazione nevrotica che cresce con picchi diversi fino all’esasperazione, poi si ferma ad un passo dal collasso, massima tensione, e si sgonfia come un pallone (!!!)) si contrappongono sofficità inquietanti (“Sink Is Busted”; ”Mooch”) e raptus ("Mindel”; ”Take It With A Grain Of Salt").
Il paragone con gli Slint deve essere giusto e ragionato: sicuramente si prendono le redini di un discorso già svolto, ma se in 'Spiderland' prevaleva l'afasia, in "Engine" si sfruttano al massimo le deviazioni espressive, si porta a maturazione il linguaggio post rock. Comunità di intenti, quindi, e non plagio.

La confezione è completamento estetico della musica: pacchetto di cartone apribile in tre parti: prima e terza copertina ricorrere del motivo del vascello su fondo rosso, rigorosa bicromia (rosso e terra) su testo nero. in poche immagini (come nelle musiche in poche note) una pregnanza debordante.

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