Una tra le exhibitioni maggiormente attese tra le numerevoli e multiformi previste in cartellone nella abitualmente ricca et musicalmente eccellente rassegna che oramai da ventuno anni a questa parte prende corpo allo scemare della canicolare stagione estiva e rispondente al suffisso “Ai confini tra Sardegna e Jazz”*, era senza dubbio alcuno quella dell’erudito quanto colto sasso/fonista BigApplense Monsieur Steve Coleman e del suo multietnico quanto pluriqromato ensemble composito da cinque straordinariamente affiatati quanto equilibrati elementi.

Per correttezza institutzionale (?) ovvero per indubitabili meriti conseguiti sul campo (dicesi palco) citerei ben più ché volentieri la formazione che ha avuto l’onere/onore di funger da godibile apripista alle misurate et avvolgenti elucubrazioni del noto Sestetto transoceanico.

Guitto Gargle, giovane e promettente quintet tricolore (aggiudicatisi la rassegna concernente le realtà emergenti nella edizione dello scorso anno) hanno convinto i più della bontà dei propri (non pochi) mezzi nella sparutissima mezz'ora a dispositzionem, attraverso la esternazione delle proprie qualità esecutoree indi musiqo-scrittoree tramite un interessante set composito da talvolta spigolosa, se non bizzarra, moderna miscellanea assai-jazz-accenno-funk: la richiesta di bis (non proprio consuetudine per un’opening-act) a termine esibizione, non è avvenuta, diciamo così, per caso.

Sua saxophon-magnificentzia Messere Stefano Coleman, strumentista extraordinaire oltreché d’altissimo profilo, considerato (spesso a ragione) una delle menti più brillanti e progredite dell’attuale moderno jazz-mescolato internazionale, e i suoi musicalmente pregevoli, affatto-Bessonistici, faiv elementi, hanno messo da un lato a seria prova e dall’altro deliziato (ossia: intravidi di sottecchi parecchie fughe a concerto, diciamo così, non ultimato), la really trepidante e cospicua folla arroccata all’interno dell’emiciclo in seno alla ristretta arena sita in cima al meraviglioso colle ospitante l’archeologicamente rilevante quanto arcaico villaggio punico-fenicio di Monte Sirai.

Chi ha avuto modo di origliare, e nell’eventualità apprezzare, l’ultima realizzazione in studio [“Weaving Symbolics” ’06], ha ritrovato nella sua pienezza, nel vivo-contesto, todos i pro und i contro del caso: l’esegesi perfetta del nuovo percorso Colemaniano. Rispetto alla instrumentazione studio-originaria è riscontrabile la totale absentia (on stage) di flauto e pianoforte, ma grazie allo stellato cielo, i vari Jonathan Finlayson (trumpet), Tim Albright (trombone), un’allucinatissimo e portentoso calzonar-corto-vestito (nota de-meterologiqua: una penetrante umidità ha, man mano, avvinghiato i presenti) oltreché infradito-pedestre-munito Mister Thomas Morgan {No, teoria cromosomica dell’ereditarietà relationship} al contrabasso ed infine un iperbolico Dafnis Prieto (fustini dixan) hanno reso cotante manufatto-manchevolezze pressochè impercepite durante la doppia sinuosa et (a brevi tratti) irta ora d’esecuzione.

Sei/sette fluidissimi movimenti, quasi un continuum acustico, sapientemente scaglionato, di ferrea quanto coinvolgente ed a tratti sinceramente appassionante progressista jazz-esecuptionem: i fonemistici vocalizzi (non ugolarmente particolarmente portentosi) della geneticamente Taiwanese et aggraziata Mademoiselle Shyu si integrano e amalgamano alla perfezione nel groviglioso calderone-unico creato dal sestetto on stage. Unica pecca, se così la osiamo ingenerosamente definire, una certa, episodicamente lieve, monotematicità strutturale di fondo tra le diverse composizioni: ciò con buona probabilità ha cagionato la (pressoché) alcuna richiesta Bissatorea al termine della comunque pregevole esecuzione (ci si approssimava peraltro pericolosamente alla nottefondistica ora una): ciò può aver influito in una certa qual frettolosa/freddezza nell’abbandonar le agghiacciate postazioni.

Orbene, nel lasciarVi pressoché al più completo oscuro del de-narrato (farraginosissamente) musico-accaduto, V’annunzio con un certo qual sommo+gaudio ché giusto alcune hours or sono intravidi all'opera il sensazionalissimo ‘World Saxophone Quartet’: indi, nella futura eventualità lectorea, sosterrei un’irriverentissimo “Cavoli Vobis”.

* curata dalla mirabile associazione Sant’Anna Arresi Jazz: manifestazione che in questa occasione non si è svolta, as usual, nel piccolo omonimo Comune di riferimento (altresì noto ai più per esser solcato dalle cristalline e fresche acque attornianti il sud-ovest della Insula Sarda), divenendo, forzatamente [?] itinerante et in attuale atto di svolgimento tra svariate località costituenti la recentemente sorta Provincia del Sulcis Iglesiente {closed megalitica geo-parentesi}

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