L'arcaica copertina è già un primo avvertimento dell'alone di mistero che avvolge la musica partorita in questa sessione. Alice Coltrane, pianista e arpista di grande livello, aveva già esplorato i territori più improbabili ed estremi del jazz insieme al compagno John; alla ricerca del superamento di ogni canone e nel tentativo più disparato di trascendere Alice fu compagna fedele, dopo il licenziamento di McCoy Tyner, di un John Coltrane determinato ad elevare il jazz a musica spirituale. Affondando le basi di questa ricerca musicale nel Free-jazz  il maestro del sax tenore da vita ad alcune sessioni indimenticabili come "Expression" e ad una quantità di materiale che verrà recuperata dalla impulse anche dopo la sua morte.

"Ptah the el daoud" è il terzo lavoro della pianista compagna di un genio del jazz  che, passato a miglior vita, le lascia in eredità non solo il bagaglio di esperienza musicale accumulato negli anni di collaborazione, ma anche un tenorista eccezionale come Pharoah Sanders il quale contribuì a rendere alcune sessioni di Coltrane così emozionanti e cariche di fascino. Ad accompagnarla è quindi un quartetto che non ha bisogno di presentazioni; oltre il già citato Sanders (sax tenore, flauto alto), Joe Henderson (sax tenore, flauto alto), Ron Carter (basso), Ben Riley (batteria).

 Le escursioni sonore dei due tenoristi assumono spesso toni inquietanti e drammatici sfociando nel free nella tile track e soprattutto nella lunghissima "mantra"; gli arpeggi della Coltrane accompagnano la bellissima e misteriosa "Blue Nile" interpretata dai flauti di Sanders e Henderson.

Ma è soprattutto quando vuole essere assoluta protagonista al pianoforte che la signora da il meglio di se, e lo fa partorendo "Turiya and Ramakrishna", vera perla dell'album in 8:19 minuti di puro godimento sonoro; una "ballad" irresistibile ed affascinante dove vengono momentaneamente messe da parte le sperimentazioni che caratterizzano il resto della sessione per un andamento più tradizionale che riesce comunque ad essere originale grazie alla bravura della musicista nel creare emozioni tramite i suoi fraseggi; Ron Carter fa dignitosamente il suo lavoro, essenziale ma intenso nel solo di basso, da un appoggio fondamentale al buon esito di questa performance. Un album che si riesce ad apprezzare dalla prima all'ultima nota, da ascoltare tenendo lontano ogni tipo di pregiudizio, dubbio o paura di cimentarsi nell' ascolto di una musica difficile e di non facile assimilazione; L'unica cosa che posso consigliare è di ascoltare con attenzione "Mantra", per riuscire a coglierne ogni sfumatura. Un disco bellissimo che saprà regalare non poche emozioni agli amanti del genere, intenso e misterioso, a tratti inquietante..  in una parola geniale.

Carico i commenti... con calma