La recente storia italiana (1991-2009) non potrebbe essere certamente compresa, se spiegata ad un giovane o ad uno straniero, senza soffermarsi con la dovuta attenzione sul fenomeno socio politico della Lega Nord e dell'autonomismo delle regioni settentrionali nel quadro dell'evoluzione dello Stato italiano contemporaneo.

Come noto, fenomeni autonomisti sono stati sempre caratteristici delle nostre isole maggiori (Sicilia e Sardegna), sia per autoevidenti ragioni etnico-culturali che storico-antropologiche o legate a figure di particolare spicco, talora anche legate alla criminalità (Salvatore Giuliano), che per ragioni fisiche dovute alla natura isolana ed isolata dei predetti luoghi.

Discorso a parte andrebbe fatto per l'Alto Adige, a propria volta contraddistinto da vicende storiche che ne fanno una enclave germanica in territorio italiano, considerando soprattutto le sue valli secondarie (Pusteria, Gardena etc.), abitate da popolazioni germanofone.

In tutti e tre i casi segnalati una frattura rispetto alla cultura ed alle caratteristiche dell'Italia sussiste nei fatti per cui il contrasto rispetto a queste forze centrifughe si risolve nell'ambito di negoziati tesi a riconoscere, mediante un compromesso, più o meno ampi spazi di manovra alle componenti sociali di Sardegna, Alto Adige, e, con concessioni probabilmente più ampie come adombrato da alcuni, Sicilia.

Ma mai come in questi ultimi anni è tuttavia capitato che le principali regioni del Nord (Lombardia, Veneto e, con accenti diversi, Piemonte) rivendicassero a sé spazi di ampia autonomia legislativa, amministrativa e financo politica sino a paventare la loro secessione dallo Stato italiano, e che trovassero in un movimento politico, ed in un personaggio di indubbio carisma e fiuto populista come Umberto Bossi, il portavoce di queste richieste e dei disagi che le sottendono, finendo così per porre sul piano politico problemi assai più complessi di quelli sollevati dall'autonomismo sardo, siculo e alto atesino.

Pensiamo, giusto per fare degli esempi, alle esigenze di controllare l'immigrazione interna, di introdurre delle gabbie salariali a protezione degli operai del nord, a garantire in maniera più intensa l'ordine pubblico delle grandi e piccole città settentrionali, sempre più minacciate dalla presenza di risacche di povertà, anche mediante interventi formativi ad ampio raggio.

Tutti discorsi che ruotano attorno ad una intuizione di fondo che solo in parte coincide con la spinta autonomistica: rilanciare il mito comunardo delle piccole patrie e declinarlo in chiave moderna ed economica, suggerendo l'idea che l'autonomismo ed il separatismo siano funzionali ad una diminuzione della spesa pubblica, ad un maggior controllo degli investimenti pubblici, ad un aumento del risparmio, un decremento della pressione dello Stato-Leviatano sulla vita privata e sull'attività di intrapresa.

In ciò si noti che la Lega è stata fortemente influenzata dalle teorie del notissimo politologo Gianfranco Miglio della Università Cattolica di Milano, essendo un fenomeno meno improvvisato e sprovvisto di quanto si creda usualmente.

Il fatto che la Lega Nord abbia avuto enorme seguito popolare, anche fra meridionali immigrati ed extracomunitari, spiega poi bene come, al di là dei modi sovente volgari e poco rispettosi di Bossi e dei suoi maggiori collaboratori (Borghezio, Comino, Rocchetta, Speroni, Maroni, Pivetti, da ultimo anche il Salvini dell'omonimo video), come i problemi posti siano reali e come le risposte profilate da questo movimento politico, assai radicato nel territorio, siano state, se non giuste, persuasive e suggestive (ancorché semplicistiche), coinvolgendo interi ceti popolari in una sorta di militanza e koinè ideologica che non si vedeva, in Italia, dai tempi delle grandi manifestazioni di popolo di destra e di sinistra.

I rischi di una deriva del movimento sono stati per ora arginati sia dallo stesso Bossi, capace di cavalcare la tigre del popolo e di saperla domare, senza essere mai un fomentatore delle folle per i propri interessi personali, quanto un autentico animale politico capace di scendere a trattative con uomini di centro-destra (Berlusconi, che ha avviato con la Lega una politica di "convergenze parallele" analoga a quella di Moro con il PCI) e di sinistra (D'Alema, che non a caso ribattezzò la Lega come una "costola" della sinistra), rendendo la Lega una presenza ormai costante in quasi tutte le Giunte comunali del Centro Nord, oltre che un movimento con cui occorre fare sempre i conti quando si tratta di decidere qualcosa in Italia.

Può sembrare paradossale che l'azione politica ed economica in Italia sia legata a doppio filo ad un movimento che nell'Italia in quanto tale non si riconosce, ma di questi paradossi, come ci ammonisce Machiavelli, si nutre la politica stessa, per cui non ci si deve troppo stupire, sperando semmai che i modi (non ultima l'uscita, anche a parere di un laziale e non certo leghista come me, biasimevole, di Salvini) siano più equilibrati e rispettosi dell'istanza della popolazione, senza eccedere in attacchi gratuiti nei confronti di determinate categorie di cittadini.

Questo libro, molto preciso e accurato, ci spiega le ragioni per le quali sia il centro destra che il centro sinistra non possano agire senza l'alleanza, o "non belligeranza", del movimento di Bossi, e ci insegna probabilmente a prendere sul serio la Lega Nord ed i suoi rappresentanti, come ago della bilancia per lo sviluppo dell'Italia e di quella Repubblica in cui tutti quanti, da ogni regione, autonomisti o meno, immigrati o stanziali, piemontesi o laziali, ci dobbiamo necessariamente riconoscere, sperando nel venire meno di ogni divisione e nella ricerca di soluzioni concordate ai problemi, che sono problemi di tutti e non solo di una parte dell'Italia.

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