Era una bellissima giornata. Mi svegliai col riff di "Hold On" in testa e in cucina mi attendevano quattro fette biscottate burro/marmellata di ciliegie, una spremuta d'arance ed Eleonora.
Era di buon umore. Aveva fatto la spesa di prima mattina e preparato la colazione per entrambi. Mi aspettava pazientemente scrutando le principali notizie politiche di un quotidiano regionale.
Pisciai per quarantacinque secondi e feci il mio trionfante ingresso in cucina. "Ma non te l'hanno messo il materasso sulla rete?", domandò con sorriso disarmante indicando alcuni solchi che attraversavano il mio volto da parte a parte. In silenzio risposi al suo sorriso e mi sedetti di fronte a lei. La fissai per un buon minuto, fin quando non si accorse nuovamente di me: "Beh? Non hai mai visto una donna leggere il giornale?". Dissi di no, accennai l'ennesimo sorriso e cominciai a fare colazione. 

La scorsa notte avevamo fatto l'amore per almeno due ore, ma non l'avevo mai vista prima d'allora. E, in tutta onestà, non avevo mai visto neppure due ore d'amore.
Le chiesi a che ora dovesse andare a lavoro e se ne avesse uno, poi m'incamminai verso la doccia. Uscii di casa nelle dieci e trenta per recarmi in stazione ed attendere mia sorella Francesca in ritorno da un fine settimana trascorso a Roma. Parcheggiando tamponai un auto, ma non diedi troppa importanza alla cosa. Cambiai posto e mi avviai verso i binari. Accesi una sigaretta e guardai l'orologio. Nel bar alle mie spalle suonava "Venus in Furs" e incredulo pensai: "Vuoi vedere che quel figlio di puttana è morto?". 

Arrivò il treno. Francesca mi vide per prima e cominciò a sbraitare per attirare la mia attenzione smarrita tra la gente. La raggiunsi. Ci salutammo dunque ci incamminammo verso l'auto. Mi raccontava della sua mini-vacanza, ma non sentivo nulla. Pensavo ad Eleonora nella sua scorsa nottata.
Giunti in auto, Francesca, fiera di sé, esclamò "Ti ho comprato un CD!" estraendo un pacchetto regalo dalla borsa. "Ah, dai! L'ultimo di Cat Power, eh?" - "Yes!" Sapeva lo stessi cercando senza fortuna da tempo immemorabile. Non esitai a scartarlo ed inserirlo nello stereo della mia 128.
Andò giù tutto d'un fiato, spodestando dalla vetta delle cantilente che ossessionavano beatamente la mia mente il riff di "Hold On".

Un disco come quello è decisamente un'esperienza. Una serie di struggenti disamine e malinconici elogi del lato oscuro. Decadenti e scarne ballate auto-psicanalitiche di stampo germaniano si rincorrono fino forse a trovare il loro spiraglio di luce nella monumentale "Colors and the Kids", sostenuta esclusivamente dal silenzioso accompagnamento di un piano solidale ed in perfetta sintonia con la nostra Chan Marshall, ora piccola, raggomitolata in un angolo e vulnerabile.
Certo la sua voce e le sue parole erano amare e dolenti, ma in quel brano si manifestava la possibilità, la via d'uscita. Un rassicurante spiraglio di luce che offriva la fuga da un posto che oramai conoscevo troppo bene e al quale nonostante tutto mi ero quasi affezionato. E' in quel frangente che avvenne la rottura ed è lì che mi lasciai deliberatamente vincere dal sonno.

Ora, sognare di un momento topico della passata giornata, addobbandola a dismisura ed abbellendola a piacimento dei propri desideri, è cosa nota nonché consueta, ma in realtà quella mattina mi svegliai presto, accompagnai una cara amica a lavoro e la colazione, una volta rincasato, me la preparai da solo, come ogni mattina. Ma sostanzialmente mi mancava Eleonora. E non c'era nessuna Eleonora. Così misi su il disco che Francesca mi portò dalla Scozia il giorno prima.

Ed è in quei giorni che si assapora a pieno l'amara bellezza di "Moon Pix". Quando hai ancora da aspettare, e cullarti nella tua stessa malinconia non può che farti sprofondare verso l'alto, perché il fondo l'hai già toccato.

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