“If you will suck my soul I will lick your funky emotion”
“Hey babe!”


Così inizia “Mommy, what’s a Funkadelic?”, canzone iniziale del primo, omonimo, album dei Funkadelic: quella che definirei una significativa dichiarazione d’intenti.

1: La storia

Sul finire degli anni ’60 il gran maestro George Clinton raggruppa un autentico esercito di musicisti afroamericani, (ricorderei fra i tanti lo sfortunato chitarrista Eddie Hazel), fondando contemporaneamente due gruppi essenziali per la storia del funk: i Parliament e i Funkadelic, i primi più ballabili e luminosi, i secondi più oscuri e allucinogeni.
Il battesimo dei Funkadelic si ha nel 1970 con l’album in questione: Funkadelic.
Semplificando, anche per via della mia non esattamente enciclopedica cultura al riguardo, possiamo dire che Clinton non si adopera per escogitare formule particolarmente innovative, bensì pesca a piene mani dal patrimonio musicale afroamericano sviluppatosi nel decennio precedente: James Brown, Jimi Hendrix Experience, Sly And The Family Stone ed anche i tanto bistrattati (chissà perché) Black Merda.

2: La réclame

Nella nostra presunzione di elevarsi sopra la vil gente meccanica ci accade spesso di essere vittime di dubbi normalmente considerabili menate intellettualoidi: ciò che sto per ascoltare è stato anche importante/innovativo musicalmente? Non è che sto per andarmi ad ascoltare i Creed quando in realtà potrei andare ad ascoltare i Soundgarden? Dissipate tali dubbi, di motivi per ascoltare i Funkadelic ve ne sono. Potremo iniziare dicendo che sono dei fighi. E converrete anche voi che un plotone di neri anni ’70 vestiti in modo da far concorrenza a Lady  Gaga e al cui confronto Snoop Dogg sembra uno degli invitati al pranzo di Babette ti predispongono molto più all’ascolto rispetto a quattro bianchi palestrati e cotonati con soprannomi idioti e vestiti in cuoio e borchie con l’intento di sembrare misticamente malvagi mentre in realtà fanno molto gay sadomaso anni ’80 ed ignorano il fatto che quel modo di vestire l’abbia appunto reso famoso uno degli omosessuali che più stimo, ovvero Rob Halford dei Judas Priest. Fighi come loro penso ci siano sono i quattro tedeschi che dicevano di essere dei robot o al massimo quelli con la tutina gialla e il cappello a piramide. Anche la storia delle droghe: i Funkadelic si strafanno di brutto con allucinogeni ed il risultato sono 15 album uno più bello dell’altro più nove dei Parliament, tanto i membri sono quelli. Adesso vanno tanto le droghe da sfigati alla Pete Doherty ed i risultati si vedono.

3: Il disco, finalmente

Funkadelic, eponimo disco d’esordio della band, è dunque un ascolto consigliatissimo, e spiana la strada per due dischi stratosferici come i successivi Free Your Mind and Your Ass Will Follow e Maggot Brain. Sette canzoni inconfondibili tra di loro una più bella dell’altra.
“Mommy, what’s a Funkadelic?" c’introduce nel mondo di questo assurdo gruppo e risponde quando domandiamo chi siano questi pazzoidi: assieme alla conclusiva “What is Soul” spedisce l’ascoltatore in un mondo fatto cervellotiche jam in cui cori maschili e femminili s’incrociano con gli strumenti senza mai risultare caotiche. Nel caso ci chiedessimo invece se costoro fossero in grado di produrre un singolo di punta la risposta potrebbe essere solo “I Got a Thing, You Got a Thing, Everybody Got a Thing”:  tre minuti e cinquanta di esplosione di funk danzereccio che fa venir voglia di cantare furiosamente come un funkettone nero nell’America degli anni ’70 in mezzo ai suoi simili anche ad un mezzo fighetto varecchinato come me che vivo nell’Italia degli anni ’10 circondato da persone troppo brutal o troppo tamarre per apprezzare il funk. Funk che poi viene annegato in un mare di blues con “Qualify and Satisfy”, tanto per mostrarci che musica avrebbero fatto i Led Zeppelin se fossero stati afroamericani. E poi “Music for my Mother”, “I Bet You” e “Good Old Music”: senza rischiare di dilungarmi in un tanto odiato track by track dirò che questi pezzi, di cui gli ultimi due sono remake della precedente band di Clinton, i The Parliaments, sono sullo stesso livello qualitativo delle altre, e tengono alta la qualità di questo disco favoloso.

L’essenza del discorso è ascoltatelo e basta.
Perché ho solo messo quattro palline di voto nonostante elogiassi così intensamente tale capolavoro? Per il semplice motivo che come voti sono puramente indicativi (qualsiasi cosa significhi) e che, per quanto bello, Funkadelic viene superato dalla bellezza dei suoi due sopraccitati successori.

Funk you all!

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