"The crystal ship is being filled / A thousand girls, a thousand thrills / A million ways to spend your time / When we get back I'll drop a line".

Appunto, "Suishou No Fune" significa "nave di cristallo". E quella nave ha viaggiato a lungo, ha solcato infiniti oceani e attraversato mille tempeste, da quando salpò - da Venice - un giorno del 1967. Ha fatto scalo in Giappone, qualche anno fa, e lì son saliti in due, un uomo e una donna; due figli illegittimi di Keiji Haino, probabilmente, due fra i tanti che il Maestro avanguardista ha sparso qua e là, fra Tokyo e dintorni. E sono tuttora in viaggio; quando torneranno, non è dato saperlo. Ma di loro abbiamo buone notizie; sono vivi, e ogni tanto ci spediscono le loro impressioni; la cronaca di ciò che vedono, a bordo di quella nave.

"Vedere", si; ma in mezzo a tanta foschia non è cosa facile. Servirebbe il proverbiale terzo occhio, e non è detto che loro ne siano sprovvisti, anzi. Colori e sensazioni sono quanto si riesce a percepire. E il blu è il colore più ricorrente, nel ritratto dei paesaggi descritti; il colore della tristezza. 

Il colore dei temi tradotti in musica da "Prayer For Chibi": angoscia, desolazione, morte. Lasciate ogni speranza, voi che mettete sul piatto i due dischi di questa quintessenziale opera datata 2008 (Holy Mountain l'etichetta): qui non c'è spazio per la speranza, o almeno ce n'è davvero poco; è un pianto ininterrotto quello che si ascolta. Raramente è capitato di ascoltare qualcosa di più straziante, qualcosa che sapesse ferire il cuore a questo punto: forse i lamenti della seconda parte di "Machine Gun", si, si avvicinano a questo (ovvero: la disperazione senza uscita quando gli spari sono finiti, e tutto ciò che resta sono scenari vuoti e inanimati: nessuno al pari di Hendrix ha saputo tradurre in musica la morte). Ma qui non è il Vietnam la fonte d'ispirazione; e neanche la morte di un essere umano, a dirla tutta.

...Chibi era il gatto di Pirako Kurenai (la metà femminile del duo, per intenderci); ed era venuto a mancare, un anno prima, a seguito di una brutta malattia, lasciando nella coppia un vuoto incolmabile. L'album è un monumentale tributo a lui, tra feedback, dissonanze e 8 maestose, lunghissime litanie chitarristiche. Una sola lunga preghiera, per l'appunto. Musica più notturna e affascinante che mai: due chitarre sinistre, gelide, a dialogare in arabeschi di spettrale magnificenza. Echi, riverberi, lamenti sommessi. Tutto scorre, fluido e naturale, pur se totalmente improvvisato, tutto è un perenne movimento: i cambi di tonalità sono liberi e casuali, direi quasi istintivi, così come istintivo è l'affiatamento fra uomo e donna, che fa sembrare due chitarre una cosa sola, una sostanza unica. Arrivano si, fra un brano e l'altro, momenti di durezza feroce, ma le circa due ore di musica scorrono - in prevalenza - in una quiete siderale, magari angosciosa all'inizio ma immancabilmente catartica, col passare dei minuti. E' la voce delle stelle, delle stelle che "sanno tutto", come recita il titolo di un pezzo del secondo disco; è a questa misteriosa sapienza universale, e non a un Dio rivelato, che l'anima del dipartito è affidata, prima di perdersi nell'oblio della materia.

"Before you slip into unconsciousness / I'd like to have another kiss / Another flashing chance at bliss".

Carico i commenti... con calma