Per una volta non sono in grado di tradurre a parole le immagini che si affacciano nella mia mente ascoltando questo disco. E' come se la fitta nebbia della copertina mi entrasse negli occhi, come se trapassasse ogni fibra dei miei vestiti rendendoli pesanti e umidi, come se, attraverso le cuffie, traspirasse nel mio cervello e gli impedisse di ragionare. Questo disco ti mette in ginocchio, ti annienta, ti soffoca, ti imprigiona e ti ammalia, e non ce la fai a sottrarti, visto che ti ritrovi a premere ripetutamente il tasto "play" ogni volta che termini un ascolto, solo per il gusto di tornare ad essere annientato.

La musica qui è scarnificata, persa in un coacervo dove convivono black metal, noise, ambient, post rock e drone, che si muovono mangiandosi e mordendosi l'un l'altro, confluendo l'uno nell'altro in maniera ininterrotta, con la melodia che soccombe al rumore, che riprende forza per pochi attimi per poi essere nuovamente spazzata via da grida lancinanti. La cosa bella di questo disco è che non te lo spieghi, non sai mai come potrebbe essere il minuto successivo, ti fa smarrire, al punto che arrivi ad un punto di una canzone, totalmente straniato, riesci per un attimo a tirare fuori il capo dalla nebbia che respiri per chiederti come diavolo hai fatto ad arrivare sin lì, cosa c'è stato prima, cosa diavolo hai ascoltato un secondo prima... Ma il tempo di finire questo pensiero che già la nebbia ti ha riassorbito, e sei di nuovo da capo. Come quel carrello della spesa in copertina, perso in un parcheggio di cemento, ti senti abbandonato, parcheggiato nel nulla: ci sono sagome in lontananza, forse lampioni, ma la loro luce è così fioca che è come se non ci fosse, e in lontananza senti solo vento e uno sferraglìo lugubre, il pianto di corde di chitarre straziate al triste passo di un pianoforte appena toccato.

L'apice dello straniamento lo raggiungi però, come è giusto che sia per ogni viaggio che si rispetti, intorno alla fine del disco, quando dalla nebbia riemergono addirittura echi floydiani (sarò folle ma in "Obsolete Elegies" ci sento un po' "Absolutely Curtains", un po' la sacralità di "A Saucerful Of Secrets", e chissà che altro), e la melodia cresce in tutta la sua potenza, salvo poi perdersi in un nulla che ti da, ovviamente quando non te lo aspetti, il colpo di grazia, una deflagrazione black guidata da una chitarra drammatica ed epica, di un'intensità incredibile, che tanto mi ricorda altissimi momenti toccati da band come Agalloch o Austere (i primi che mi sono balzati in testa). Eppoi tutto collassa su se stesso e si chiude, stavolta definitivamente: un enorme drappo nero cala sui nostri occhi, e si è quasi costretti, come detto qualche riga più sopra, a premere nuovamente "play", per cercare di capirci qualcosa in più.

"Return to Annihilation" non si spiega, va ascoltato e basta: i Locrian hanno creato un incubo metropolitano in grado di rigenerarsi ogni qualvolta ascolti il disco, un lavoro intensissimo e pieno di atmosfera, trasversale nel genere di riferimento ma univoco nelle sensazioni che sa trasmettere, un disco di "extreme" qualcosa che non deve passare assolutamente in sordina.

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