Tutto, purché si tratti di musica. E così capita che un collega mi parli di una sua passione personale ed io, che sono curioso di natura, mi trovi poco dopo a frequentare territori musicali a me poco noti e a godermi una bella serata come questa ed apprezzare un coro di 100 elementi al posto del solito indiepop consigliato dalla tal rivista o weblog.

Il direttore del coro, il brasiliano Martinho Lutero Galati de Oliveira, apre con un breve momento divulgativo che spiega in cosa consista il progetto dell'omonima associazione Cantosospeso. In momenti successivi riapparirà per spiegare la scelta dei brani proposti, assolutamente indispensabile per chi come me è largamente a digiuno di riferimenti culturali in tema. Viene subito sottolineato quello che è l'obiettivo principale: la ricerca di una vocalità che rappresenti l'incontro tra la classicità della musica barocca europea, rappresentata da J. S. Bach, e la modernità e freschezza della musica africana, continuazione ideale di quanto già proposto in merito da Albert Schweitzer ad inizio secolo.

Molto curata la visione d'insieme del coro: sono 100 elementi, di cui 50 al centro in nero ma con gilet coloratissimi, quasi a richiamare l'anima etnica, 15 donne per lato in abito nero e sciarpa rossa, quindi una sezione archi di 5 violini ed un violoncello, poi i fiati, i percussionisti ed i solisti. L'unica nota stonata della performance sarà extra-musicale: sullo sfondo viene proiettato una specie di salvaschermo che alterna maschere africane ad immagini di Bach in movimento, con un montaggio degno al più di una sigla televisiva.

L'inizio del concerto è improntato sulla classica; si distingue la dolcezza ed eleganza della voce bianca che intona l'inizio della parte zulu dell'inno sudafricano Nkosi Sikelele Africa, in seguito la Cantata BVW4 eseguita dal coro, poi un Agnus Dei solenne e rassegnato cantato in falsetto, fino ad arrivare a qualche excursus quasi da musica contemporanea, come un momento in cui il coro sembra riprodurre un caos da folla in piazza, con una sorta di dialogo fra uomini e donne. Si cambia registro con il brano Csu War Da Nye, un tradizionale del Burkina Faso che segna l'ingresso delle percussioni: l'esecuzione è stata portata come regalo in occasione di una visita del coro nel paese. Qui le voci femminili quasi stridenti provenienti sul lato destro del palco fanno da contraltare alle percussioni sulla sinistra, mentre l'armonizzazione della parte centrale completa l'esecuzione. Entrano i fiati ed il coro si rimescola in una nuova formazione. L'opera seguente è un requiem cubano del 1700 e recentemente restaurato, composto da Esteban Salas, un prete meticcio che già ai suoi tempi sperimentava la fusione fra il barocco e la tradizione africana, una vera e propria testimonianza di quanto antica sia l'idea della sperimentazione nel contaminare i generi ed un ulteriore avallo "storico" al progetto portato avanti dal coro. L'ultimo brano presentato rappresenta la miglior sintesi del progetto: se finora i pezzi si sono semplicemente alternati fra barocco e musica africana, ora assistiamo ad una vera e propria e fusione. Uno dei brani più conosciuti di Bach, il corale della cantata BWV 147, viene eseguito con un tempo più regolare e sostenuto di come sia abituato a riconoscerlo, fino al passaggio dei primi colpi sui bonghi che lo trasfigurano nello splendido epilogo corale su M'Ganga, brano offerto dal coro come regalo in occasione di un altro viaggio, questa volta in Kenya.

Il concerto è stato rieseguito e registrato su CD il giorno successivo e sarà in vendita nei prossimi giorni: per chi fosse interessato o semplicemente come me curioso, è disponibile a partire dal sito internet ufficiale dell'associazione culturale omonima. Tutti i proventi saranno devoluti ad un progetto umanitario che prevede la costruzione di un ospedale in Kenya.

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