C’è una cortina impalpabile tra lo sguardo e il profilo di queste città distanti.
C’è un senso di profondità prospettica appena velato dalla morbidezza che avvolge, rivestendolo di lieve e costante vaporosità, il fluido distendersi dei suoni.
C’è un’accurata disposizione dei delicati e numerosi tasselli sonori che in questa fluidità si muovono, dando corpo a vedute che paiono attingere ad immagini sedimentate in un luogo situato tra la penombra intima del ricordo e l’ariosa vastità dell’immaginazione.
E ci sono voci, che compaiono materializzandosi con naturalezza, assimilate a quel flusso, quasi fossero composte della stessa sostanza dei suoni.
Il flusso, generato dall’intreccio di sonorità acustiche con mutevoli ombre elettroniche materializza, nell’incontro con quelle voci, fantasmi di canzoni.

Nella meticolosa stesura della sua tavolozza sonora in un affresco emozionale, attraversato da una eleganza mai inconsistente o melensa, Ryan Francesconi, musicista californiano votato ad un’elettronica venata di lirismo, affida ad un nutrito drappello di collaboratori e a chitarre, archi, pianoforte, lievissime trame percussive a tratti percorse dall’evocativo respiro di una tromba, l’organicità dei suoni destinati a combinarsi ai fields recording ed all’elemento digitale, per dare vita al suo terzo album solista.
Le voci, che attraversano il disco delineando tenui melodie, sussurrate in inglese e giapponese, sono di Sonja Drakulic, Moira Smiley o Lily Storm.

Leggo che parte della sua ispirazione giunge dalle pagine di Haruki Murakami e che in Giappone è stato in tournee. Anche la Plop, label che pubblica il disco, è di stanza in Giappone.
E durante l’ascolto di queste atmosfere eteree, dense però di una indubbia forza evocativa, di una luminosità a tratti opacizzata da un velo di malinconia, pare di riconoscere i tratti della delicata ma fiera eleganza che di quella cultura è tratto distintivo.
Ma le città distanti che osserviamo con le nostre orecchie hanno architetture incerte, profili indecifrabili e sono, probabilmente, più prossime di quanto ogni distanza geografica potrebbe stabilire.
In quelle città siamo stati, o giungeremo, anche senza averci mai messo piede. Il mondo è così grande e così piccolo, quando parte delle emozioni che lo attraversano roteano in un disco metallico.

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