A metà degli anni 70 Franco Battiato decise di imparare a suonare il violino, e iniziò a prendere lezioni da un violinista di nome Giusto Pio. Il Maestro di Castelfranco Veneto era allora attivissimo nel campo della classica e mai si era accostato al pop, ma l’incontro dei due diede inizio ad un’amicizia e ad un sodalizio artistico che avrebbe segnato il decennio successivo in maniera indelebile. Battiato di lì a poco avrebbe pubblicato una serie di album importantissimi, “L’era del cinghiale bianco”, “Patriots”, fino al successo epocale de “La voce del padrone”. Tutti firmati con Pio. I due negli stessi anni firmano anche una serie di canzoni di grande successo per cantanti come Alice, Giuni Russo, Milva, producendo una quantità semplicemente incredibile di materiale nel giro di pochissimi anni.

In questo contesto, nel 1982, Giusto Pio si lancia anche in un’avventura solista (di discreto successo commerciale) con quest’album, “Legione Straniera”, un disco quasi completamente strumentale scritto ovviamente anche questo a quattro mani col sodale siciliano. Non è a dire il vero il primo album a uscire a nome del violinista, che in precedenza aveva dato alle stampe un disco di musica sperimentale, “Motore Immobile”, uscito per la Cramps nel 1978. Ma questa volta si punta su un formato decisamente più pop. La produzione infatti non si discosta più di tanto dagli stilemi Battiatiani dell’epoca e i collaboratori sono lo stesso collaudato team, fra i quali meritano di essere citati Filippo Destrieri alle tastiere (qui anche coautore del brano che intitola l’album) e un chitarrista di gran classe come Alberto Radius.
Il disco è molto godibile, si potrebbe descrivere sommariamente come un Battiato strumentale con il violino solista al posto della voce, e ottiene anche buoni risultati di vendita, grazie soprattutto alla title track e a “Ostinato”, i due pezzi sicuramente più riusciti. Pio si consente anche dei puri divertissement, come la rilettura di Bach con recitato tailandese (!) di “Giardino Segreto”, e in generale alterna melodie solari e rarefatte (“Aria di un tempo”) a temi più cupi (“Totem”). Non tutti i pezzi sono ugualmente riusciti e forse un paio possono suonare apertamente bizzarri ma fu dichiaratamente un disco fatto per divertimento e globalmente si tratta di un ottimo ascolto, direi imperdibile per i fan di Battiato; tre o quattro brani sono davvero molto belli e in definitiva è un peccato che questo album (così come i suoi successori “pop”, “Restoration” e “Note”) non sia mai stato ristampato su CD e pertanto sia relegato al mercato del modernariato musicale da fiera del vinile. Speriamo che la EMI si decida a dare una doverosa spolverata ai suoi archivi.


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