Raison d'être non è solo il principale dei progetti di Peter Andersson, geniale musicista, produttore e mastermind della imprescindibile etichetta svedese Cold Meat Industry. Raison d'être è anche e soprattutto il passaggio obbligato per chiunque voglia addentrarsi nell'oscuro mondo del dark-ambient.
"In Sadness, Silence and Solitude", uscito nel 1997, è un episodio fondamentale nella discografia targata Raison d'être, costituendo il momento di transizione fra l'industrial degli esordi e il dark catacombale degli album successivi. L'anima industrial è ancora presente e si palesa nell'attitudine rumoristica, nell'utilizzo della tecnica del loop e del campionamento dei suoni, nei fugaci momenti percussivi (sporadici a dir la verità). Ma è del tutto evidente come sia già in atto quell'opera di sottrazione e limatura che porterà verso i lidi introspettivi e metafisici di capolavori come "The Empty Hollow Unfolds" e "Requiem for Abandoned Souls".
Fatti propri gli insegnamenti del maestro Eno, l'ambient di Andersson finisce per sovvertire quelli che sono i pilastri concettuali dell'ambient delle origini (una musica che fungesse da colonna sonora ideale per determinati ambienti: "Music for Airports", dello stesso Eno, ne è un esempio). L'ambient di Andersson finisce piuttosto per perdere il contatto con gli spazi concreti della realtà fisica, fino ad assumere veri e propri connotati psicoanalitici e divenire colonna sonora dell'interiorità del singolo ascoltatore, o, meglio ancora, della sua ricerca interiore. "I segreti sono rivelati al calar della notte", recita non a caso una frase del booklet interno, postulando l'oscurità come qualcosa di pre-esistente alla luce, e quindi qualcosa di più antico e profondo. L'oscurità, quindi, come scrigno di verità nascoste, luogo dove giace l'essenza delle cose, l'opposto della luce, vista come fonte di confusione e fraintendimenti. La conoscenza, infine, intesa non tanto come evidenza ma come processo di acquisizione.
"In Sadness, Silence and Solitude", nel suo perfetto bilanciarsi fra pieni e vuoti, costituisce anche uno dei momenti di maggiore ispirazione per Andersson, le cui opere, per quanto imponenti ed estremamente curate, corrono sempre sul filo del manierismo (colpa anche di un genere che non concede ampi margini di movimento ed evoluzione, facendo della ripetizione e dell'assenza la propria ragion d'essere).
L'album gioca essenzialmente sulla contrapposizione fra estenuanti parti di inquieto rumorismo ed inaspettate aperture melodiche: l'impressione è quella allucinata del morente, che si vede ampliare a dismisura le capacità percettive e si ritrova a ripercorrere l'intera propria vita negli ultimi istanti, fino al momento in cui i cancelli dell'Aldilà (qualsiasi cosa si voglia intendere con questo termine) si spalancheranno e lo inghiottiranno per sempre.
Lo sgocciolare dell'acqua, il tintinnare di ferraglia, lo stridere di sedie sul pavimento: la musica di Andersson è come un vaso di Pandora che sta per essere scoperchiato, tutto concorre ad allestire un'atmosfera inquieta di incipiente catastrofe, come se la nostra casa fosse posseduta da demoniache presenze. Frane interiori, esplosioni dell'Io, collasso delle cognizioni spazio-temporali: l'intento di Andersson è quello di estraniarci e di recidere il labile cordone ombelicale che ci lega ancora alla realtà, o meglio, a quello che comunemente pensiamo sia la realtà.
Ma il piglio di Andersson è quello di uno scienziato piuttosto che di un medium, il suo è un procedere accurato e metodico. Andersson gioca con perizia sulle sfumature, sui dettagli, sui suoni: uno scavare nel niente e verso il niente che genera in noi visioni spettrali, paura, incertezza e che ci spinge ad esplorare le zone oscure della nostra psiche. Tutto ciò sfruttando semplicemente le qualità intrinsecamente esoteriche della musica e il suo connaturato potere suggestionante (io lo chiamo "esoterismo laico"), senza ricorrere a chissà quale evocazione di entità ultra-terrene (per questo mi sembra fuori luogo parlere di musica esoterica in senso stretto).
E' come se Andersson ci avvolgesse in un manto nero, ci conducesse altrove e al momento giusto squarciasse il velo con un coltello affilato, facendo penetrare nel buio degli spiragli di luce, aprendo viste su altri mondi. Ed ecco che dal nero magma ribollente si materializzano sospesi sul niente i minacciosi salmi gregoriani, gli inquietanti cori angelici, le suggestive aperture melodiche degli archi e delle tastiere: momenti panici che vanno a comporre una sorta di "new-age d'oltretomba" e che richiamano le atmosfere apocalittiche di un film come Blade Runner o quelle tragiche e tese di un film di Herzog.
Scenari desolati, colpi in lontanza, campane da morto, ma anche gli influssi orientali degli strumenti a fiato: certamente questa è una delle opere più varie e ricche di contenuti di Andersson, un lavoro che in definitiva si dimostra perfettamente capace, nel suo perfetto alternarsi di spirali elettroniche, ritmi e atmosfere esistenziali, di mantenere sempre desta l'attenzione e di non provocare necessariamente noia, nonostante il genere, ostico per definizione, sembrerebbe esser fatto proprio per spingere l'ascoltatore dritto dritto nelle braccia di Morfeo.
Questo "In Sadness, Silence and Solitude" costituisce senz'altro un buon primo passo per accedere al mondo oscuro tratteggiato da Raison D'être, è l'albero da cui cogliere i frutti più succosi, prima che l'intuizione divenga genere e l'arte di questo piccolo-grande musicista scada nel manierismo dei pur sempre eccellenti lavori successivi.
Buona Morte a tutti.
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