Lontano anni luce dalle complesse metafore socio-politiche di "Ultimo tango a Parigi", Bernardo Bertolucci si è (quasi) sempre dimostrato, prima che un grande regista, un grande creatore di psicologie umane. Non fa eccezione questo piccolo gioiellino ancora oggi, ahimè, sconosciuto ai più: "La tragedia di un uomo ridicolo". Un piccolissimo film, girato con pochi mezzi e con un dono della sintesi quasi sorprendente (dopo "Novecento" e qualche anno prima dei fasti hollywoodiani de "L'ultimo imperatore"). Eppure, nel suo essere piccolo, oggi, a distanza di quasi trent'anni (è del 1981), si dimostra per quello che è: un grande film.

Il protagonista della pellicola, uno splendido Ugo Tognazzi (artista mai troppo ricordato), è in effetti un uomo ridicolo, un meschino, un sordido affarista incapace di accorgersi del proprio dolente stato di precaria commiserevole autodistruzione. Tognazzi è Primo Spaggiari, industrialotto come tanti della Bassa Padana. Alcuni terroristi gli sequestrano il figlio, per la liberazione gli chiedono un miliardo di lire. Si sparge nel frattempo una notizia inquietante: pare che il figlio sia stato rinvenuto morto. Primo Spaggiari, non prova alcun sentimento di pietà, e tenta, approffittando della presunta morte del figlio, di salvare la propria industria dall'imminente fallimento.

Si diceva, inizialmente, che Bertolucci è un grande creatore di psicologie umane. Ecco qui un esempio lampante. Spaggiari è una sorta di strisciante vermiciattolo, un industrialotto padano con tutti i vizi (tanti) e le virtù (pochissime) di tutti quelli che hanno faticato una vita per avere un pezzo, anche illusorio, di felicità e che non vuole vedere scomparire tutta la propria "opera d'arte" nel nulla, preferendo sacrificare la vita del proprio amato (?) figlio pur non ritornare nella mediocrità in cui è nato. Tognazzi cesella con grande mimetismo attoriale la psicologia di questo ‘omuncolo', e scava fin nei più profondi meandri dell'umana psicologia tanto da non nascondere nulla allo spettatore: la truffa perpetrata ai danni del figlio è cinico, senza via di scampo, tenebrosa e cupa come la mediocrità.

E poi il contorno. Che non è da poco. Il triste e lugubre paesaggio della Bassa Lombardia, nebbioso e consumato, popolato da ex-poveri volgarotti arricchiti e contadini dal viso scavato dal lavoro e dagli anni, fa da sfondo alle vicende del ridicolo Primo Spaggiari. Le figure che si muovono intorno al protagonista sono spesso accigliose e cupe, qualche volta mostrano timidi sorrisi di felicità sul viso, ma ripiombano, senza dirtelo o fartelo capire, nella tristezza più assoluta. Eppure, sembra tutto così chiaro, così luminoso, ma è solo un apparenza, di dietro in realtà c'è un grande lavoro sulla fotografia, impressa benissimo dal maestro Carlo Di Palma (lavorerà anche per Woody Allen in "Settembre").

Qualche sprazzo di sano divertimento compare qua e là, ma è solo un momento, la tregua prima della tempesta. Ad onor del vero, di fondo c'è anche un tema scottante: il terrorismo. Un anno dopo l'attentato sanguinoso alla stazione di Bologna Bertolucci sembra voler riflettere sulla deriva umana che sta ammorbando l'Italia. Fra i tanti pregi del film si staglia anche qualche difetto forse evitabile: questo è uno di quelli, il tema del terrorismo infatti è toccato in maniera superficiale, così come la sceneggiatura sembra sempre sul punto di cedere salvo rianimarsi quasi sorprendentemente. Si noti che la sceneggiatura è tutta opera del solo Bernardo Bertolucci, lui che di solito si fa sempre aiutare da qualche grosso nome.

Da citare però un cast meraviglioso, pieno zuppo di volti e visi noti al grande pubblico perfettamente a proprio agio nei panni di personaggi scomodi e poco edificanti: il grande Vittorio Caprioli (da riscoprire il suo "Parigi, o cara"), la felliniana Anouk Aimée, la giovane ma già promettente Laura Morante, il mitico Victor Cavallo (a Roma è un istituzione, e la sua scomparsa, nel 2000 provocò enorme dolore fra i suoi fans più accaniti) e la partecipazione straordinaria e veloce di Don Backy. Sulla locandina Ugo Tognazzi con un binocolo guarda lontano.

Il film, dopo anni di assurdo oblio, forse, è arrivato alla meta. Forse.

Carico i commenti... con calma