Quando vidi per la prima volta "Il Silenzio Degli innocenti", era il periodo in cui le reti televisive, in preda ai primi (genuini?) scrupoli di coscienza, cominciarono a bombardare la programmazione dei film con bollini rossi, gialli e verdi come monito per i bambini a proposito della visione degli stessi.

All'epoca ero un bimbetto senza malizia, tutto casa, partite di pallone e comunione (per fortuna la Playstation fu inventata circa 10 anni dopo, altrimenti adesso avrei il cervello in pappa); avrò avuto i miei dieci-undici anni, ma cominciai presto ad abituarmi a questa ripartizione dei film. Semplificavo così: bollino verde "Mamma Ho Perso L'Aereo", bollino giallo "Ghost", bollino rosso "Il Silenzio Degli Innocenti". Ma io quest'ultimo non l'avevo ancora visto. Per me era bollino rosso semplicemente perché nella pubblicità campeggiava quel segnale piuttosto antiestetico (dopo alcuni anni lo hanno rimpicciolito), e perché dal trailer televisivo avevo intuito che non doveva essere granchè allegro come film.

Così, in cerca di pareri rassicuranti/autorizzanti, chiesi delucidazioni ad un discreto cinefilo, nonché persona fidata: mio padre. "E' un bel film, ma sei ancora troppo piccolo per guardarlo" mi disse. Ma come piccolo? Perdinci! Ho 11 anni, sono un ometto ormai. Fosse stato per me mi sarei anche iscritto alla scuola guida... Niente da fare. Per il bene della mia giovane psiche, il saggio padre elargiva consigli affinchè io desistessi da ogni azzardato proposito "masochistico". Ma più egli tentava di palesarmi la ragion d'essere di quel bollino rosso, più io sentivo di dover fare di testa mia. Detto fatto. Del resto, io sono napoletano, quando mai si è visto che uno che non rispetta i semafori per strada, li rispetti in tv?* Insomma, arrivò la fatidica sera in cui trasmettevano "Il Silenzio Degli Innocenti"; sarà che effettivamente non avevo l'età per quel film, sarà che avevo costantemente la mano sul telecomando per paura di beccarmi un cazziatone, casomai fosse entrato papà, mi feci un'idea piuttosto approssimativa della trama, rimandando la comprensione di alcuni risvolti di qualche anno. Ma in senso tecnico, la mia competenza cinematografica è rimasta pressoché immutata: c'era un cattivo, soprannominato Buffalo Bill, che rapiva e ammazzava donne (badando bene alla taglia) per farci una specie di vestito di pelle umana. Sul caso, indagava Clarice Sterling, giovane agente dell'FBI, con l'aiuto di un altro cattivo dotato di un'intelligenza fuori dal comune e di uno sguardo glaciale e impenetrabile, il dottor Hannibal Lecter, psichiatra dalle discutibili preferenze culinarie che, per qualche motivo, aveva avuto a che fare con Buffalo Bill, e "guidava" le indagini dall'interno di una scarna e tetra cella.

Non ci sarebbe bisogno di dirvi quanto fosse superba l'interpretazione di Anthony Hopkins, credibile quella di Jodie Foster nei panni di un'agente coraggiosa ma inesperta, o quanto fosse inquietante e grottesco, al tempo stesso, Ted Levine nei panni del pazzo scuoiatore, se non per giungere alla conclusione che questo film mi fa rabbrividire esattamente come la prima volta che lo vidi, nonostante siano passati più di dieci anni da allora. L'impatto psicologico che il film ebbe su di me fu tale che ancora oggi credo di non aver mai assistito ad un excursus sulla follia umana tanto brutale quanto quello messo in scena ne "Il Silenzio Degli Innocenti". Il calvario delle vittime non finiva con la morte; gli omicidi non rappresentavano il ripristino di un ordine violato, né il macabro compimento di un deviato disegno di giustizia (come avverrà in "Seven", qualche anno più tardi), bensì un mezzo per raggiungere un fine ancor più raccapricciante (il cannibalismo per Lecter, la "seconda pelle" per Buffalo Bill).

Alcune scene sono tanto agghiaccianti dal punto di vista scenico, quanto sotto il profilo psicologico; anche il dettaglio più insignificante sembra concepito per turbare lo spettatore: dallo sguardo di Hannibal quando Chilton, il direttore dell'ospedale psichiatrico, si chiede dove sia finita la sua penna, alla passerella di Clarice nel braccio dei peggiori psicopatici (all'epoca non capii bene cosa uno di quei pazzi le avesse lanciato); dalle urla soffocate del malcapitato secondino al quale Hannibal stacca il naso a morsi sulle note di Bach, all'angosciante caccia al buio di Clarice, ignara che l'assassino cammina proprio alle sue spalle. A proposito di quest'ultimo, fra le sue sporadiche apparizioni una è, a mio avviso, particolarmente suggestiva, abilmente strutturata su un gioco di contrasti: quella in cui le note di "Goodbye Horses", una canzoncina molto accattivante, accompagnano la preparazione di un omicidio, in un rituale di morte quanto mai singolare (Buffalo Bill nudo davanti allo specchio, in atteggiamenti narcisistici, si immedesima in ciò che aspira a diventare, mentre la futura vittima tenta una disperata fuga dall'angusto pozzo nel quale giace). Malgrado gli incubi, e l'incoscienza di quella "prima volta", ero consapevole di trovarmi di fronte ad un grandissimo thriller, forse il più (giustamente) celebrato degli ultimi 20 anni, che con gli anni avrei apprezzato sempre di più, e che soprattutto mi insegnò il rispetto dei semafori...

Meglio che vada... ho un vecchio amico per cena (e stavolta offre lui...)!

*questa non prendetela troppo sul serio

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