Qual è il segreto di John Martyn? Come fa ad incastrare un filo di luce tra i giochi d'ombra? A scrivere canzoni che restano sospese tra spirali di aria densa, solida?

Alla fine degli anni sessanta è partito dal folk che suonava da giovanissimo nei club scozzesi agli inizi della sua carriera ma da allora la sua ricerca ha subito una continua innovazione, usando effetti particolari sulla sua chitarra elettrificata (l'Echoplex che genera una sorta di loop) e filtrando in modo personale tutte le influenze di innumerevoli riferimenti, arrivando ad una sorta di ballata che ingloba folk, jazz, blues, rock con il risultato di esaltare il lato emozionale di questi generi

La sua stessa voce con gli anni si è trasformata in un blend pastoso e scuro ma mai aggressivo: una voce soffiata e sibilante come un magico strumento che nessuno potrà mai inventare.

"Solid Air" è il suo frutto più pregiato, un gioiello del 1972 che resterà nel cuore degli appassionati e ne conquisterà sempre di nuovi. Accompagnato da nomi illustri del circuito folk-rock come l'ex Pentangle Danny Thompson al basso e Dave Mattacks dei Fairport Convention alla batteria, John Martyn crea una languida spirale di suono trattenuta a mezz'aria dalla ritmica ovattata e mai invadente.

Così la title track aperta dal double bass di Thompson, condotta dalle liquide tastiere di John Bundricke e dal pigro contrappunto dell'acustica di John, è dedicata alla depressione dell'amico Nick Drake che l'anno dopo si sarebbe ucciso.

Bisogna solamente chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla magia ipnotica della voce....

"Don't you know what's going wrong inside your mind
And I can tell you don't like what you find.
When you're moving through
Solid Air ... solid air"

Non riapriteli subito perché vi aspettano diverse sorprese. Ballate ricche di atmosfera come "Don't want to know" o "Go down easy" nella quale la voce di John è simile al soffio di uno scuro uccello tropicale che ammalia e stordisce sullo scarno tappeto sonoro dell'acustica e del double bass.

Richiami acustici alla tradizione folk britannica come la saltellante "Over the Hill" sostenuta dal mandolino del grande Richard Thompson. Blues nei quali la voce si trasforma e si incupisce come "The man in the station" e il vecchio classico di Skip James "I'd rather be the devil". Composizioni nervose e cariche di elettricità trattenuta come "Dreams By the Sea".
Splendido folk-jazz come "May you never " che è una questione personale tra la voce e la grande tecnica all'acustica di Martyn. Alla fine ti ritrovi a chiederti come uno scemo: ma che musica è? Come la devo classificare? Quante cazzo di caselle mi tocca spuntare?

Qualcun'altro dall'altra parte dell'oceano tentava le stesse sperimentazioni di John Martyn, osando la commistione tra la vecchia ballata tradizionale e l'urgenza della nuova espressione musicale: Joni Mitchell, Shawn Phillips, lo stesso John Fahey destinati, tranne la "lady of the canyon", al culto per pochi intimi.

Ed è un peccato.

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