"Aurora" rappresenta un passaggio cardine nel coraggioso percorso artistico degli Ain Soph.

 Gli Ain Soph non sono da considerare una band in senso convenzionale. Totalmente al di fuori delle logiche del mercato discografico, la storia dell'ensemble capitolino ha origine negli anni ottanta con la diffusione nei circuiti underground di nastri amatoriali non destinati (almeno inizialmente) ad un pubblico: registrazioni casalinghe che, più che album veri e propri, sarebbe lecito definire esperimenti di magia.

Sulla scia degli inarrivabili Current 93, i romani seppero confezionare pregevoli esempi di musica rituale, ingarbugli sonori in cui, a detta dei diretti interessati, "nessuna soluzione sonora, nessuna singola nota è stata arbitraria, o scelta perché "bella": tutto è stato subordinato alla rigorosa realizzazione - o quanto meno illustrazione - di scopi magici."

Poi, nel 1992, la svolta.

Tre anni prima era caduto il Muro di Berlino, un evento destinato a suscitare nuove riflessioni e favorire l'introduzione di nuove categorie attraverso cui leggere la realtà. E così in un batter d'occhio ci trovammo un Occhetto lacrimante a sciogliere il PCI e a fondare il PDS, e, quasi in contemporanea, Ferretti e Zamboni ad archiviare l'esperienza CCCP ed inaugurare l'era CSI (che poi stavano ai CCCP come il PDS stava al PCI!).

Dico questo non perché sono un folle visionario, ma perché mi semplifica le cose fare un parallelo fra i CCCP e gli Ain Soph, e guardare alla svolta di "Aurora" come animata dalle medesime contingenze che hanno portato alla nascita dei CSI.

Anche se poi, in realtà, i presupposti e le conseguenze sono di segno opposto: "Aurora", che stilisticamente segna il passaggio ad una dimensione più propriamente musicale, da un punto di vista concettuale non è una semplice presa di coscienza in linea con un processo di edulcorazione ideologica dettata dai tempi, bensì una vera e propria scesa in campo (dio, quanto odio questa espressione!).

Si tratta così di passare "dal rumore alla musica, dalla magia all'etica", come spiegano gli stessi Ain Soph, e di "portarsi su trincee in ogni senso più avanzate: più vicine al vero ed insieme aperte all'errore".

Si ha così il passaggio dall'astrattismo e dall'ambiguità della musica rituale ad una salda presa di posizione, inevitabilmente imposta dalle contingenze, atto necessario in "un tempo in cui crollano i Muri aberranti di impotenza e paura: ma", aggiungono gli stessi autori, "sono muri di pietra e di filo spinato, che una folla può demolire. Altri muri rimangono in piedi, nei cuori e nelle coscienze, che solo la ferrea volontà può abbattere. Ciò deve avvenire nel Silenzio, dentro ciascuno di noi. Questa musica, che è comunque rumore e distrazione; queste parole, che per natura sono inadeguate, sono il nostro contributo a questo Silenzio. E se finora abbiamo parlato dalla mente alla mente, ora intendiamo parlare dal cuore ai cuori".

Questa scesa in campo si materializza così con un concept ispirato ai sentimenti di disillusione e rivalsa di un repubblichino che, alla fine della seconda guerra mondiale, assiste al crollo dei propri ideali.

Dieci anni dopo, uscirà "Ottobre", che illustrerà, invece, lo stato d'animo di un giovane russo innanzi all'implosione dell'Unione Sovietica e al crollo del Comunismo: "In entrambi i casi si parla di gente che combatte, vive e muore per un ideale che forse è già perso in partenza", precisano i Nostri, che ci tengono a prendere le distanze da ogni tipo di catalogazione che deformi il senso della loro musica. "Il fatto è che", spiegano, "nessuno riesce a digerire che gli Ain Soph sono un gruppo libero, atipico, senza schemi precostituiti e privo di preconcetti, che non è assoggettato alle leggi del mercato discografico ed agisce in maniera autarchica ed autonoma".

 L'Ain Soph pensiero, come in passato, è da ricercare piuttosto nella filosofia evoliana (ohibò), ed in particolare nella dicotomia fra forze della Tradizione e forze dell'Anti-Tradizione: "Onore, onestà, autodisciplina, distacco: questi sono gli assi portanti della vita, ed ancora più della magia", spiegano. E ancora: "Noi non siamo emotivamente, irrazionalmente legati ad una dottrina politica - il che sarebbe già un errore: ma da un punto di vista magico, il nemico è estremamente chiaro:
Se la Magia è supremazia dello spirito, sono nemiche le dottrine infere della Materia.
Se la Magia è lotta e vittoria, sono nemiche le dottrine della codardia e della diserzione.
Se la Magia è assoluta coerenza con una Verità insieme interiore e divina, sono nemiche le dottrine del compromesso e del trasformismo.
Se la Magia è suprema ascesi dell'Io, finché esso giunga alle regioni dove l'Io si trasfigura, sono nemiche le dottrine dell'uomo massa e dell'egualitarismo.
Se la Magia è tradizione che scorre nelle vene della Storia, sono nemiche le dottrine della negazione dei valori."

 E' chiaro che nel mirino vi siano le forze progressiste, le istituzioni democratiche, Comunismo e derivati. Ma al di là che si aderisca o meno ai presupposti su cui si basa il messaggio degli Ain Soph (io per esempio no, e, in quanto fervente sostenitore delle dottrine infere della Materia, della codardia e della diserzione, del compromesso, dell'uomo massa e dell'egalitarismo e della negazione dei valori, mi traggo ben volentieri al di fuori di questo manifesto d'intenti!), a prescindere da tutto questo, "Aurora" si rivela un'appassionata riflessione sulla caduta degli Ideali e della Tradizione, un'opera che s'incunea con tempestività in un momento storico in cui il presente si fa confuso, il futuro incerto, il passato soggetto a nuove interpretazioni.

Dirò inoltre che in più di un brano viene espresso il rispetto per la figura del partigiano: aspetto, questo, che va a confermare l'ipotesi che negli intenti degli Ain Soph vi sia stata in realtà la volontà di celebrare un valore universale ed astratto di lotta, integrità, coerenza con le proprie idee ed avversione ad ogni sorta di corruzione, opportunismo, compromesso. 

La marcetta fascista che apre l'album (come l'inno sovietico che aprirà "Ottobre") è quindi da vedere come semplice escamotage contestualizzante. Ma è solo una manciata di secondi, perché subito irrompe il piano di "Tutti a casa!", vispo brano di apertura di cui riporto il testo per intero:

"Tutti a casa! Tutti a casa! Caporale, mi strappi le mostrine
Presto arriveranno le donnine, e gli yankee con il loro jazz
Che fessi quei fascisti e partigiani, che hanno ancora voglia di morire
Arrivano gli amici americani, per due o tre anni ho voglia di dormire. 

 

C'è una nazione da ricostruire, a cominciare dalla borsa nera
Poi due bombe messe sopra ai treni, se servirà a fare carriera
Frequentiamo vescovi e casini, in montagna ci andremo per sciare
I partigiano e le camicie nere si divertano  sparare
Noi dobbiamo creare ministeri e far la guerra dai giornali
Questi estremisti li elimineremo, secondo gli interessi nazionali 

Tutti a casa! Tutti a casa! Svuotate le galere
Che serviranno fra non molto ai nemici del potere 

Benvenuti nell'Italia Democristiana"

 Il tutto condito dalla verve e dal brio di un cantautorato in stile Paolo Conte/Enzo Jannacci: un bel salto, se si pensa ai trascorsi esoterici della band!

Un cambiamento che poco ha a che fare con la sterzata folk dei padri Current 93, ma che tuttavia riscuoterà un discreto successo fra i fan della band abituati a ben altre sonorità.

Per gli altri è invece doveroso chiarire che il livello tecnico è prossimo allo zero, le composizioni puerili, le voci sgraziate, le stecche innumerevoli. Un sound semplice e scarno, quello degli Ain Soph di "Aurora", un sound di chitarre acustiche, pianoforte e poco altro: un organetto, una fisarmonica paesana, qualche screzio elettrico e sporadici inserti rumoristici chiamati ad evocare, molto timidamente, il passato industriale della band.

Ad un primo ascolto l'impressione  sarà quella di trovarsi innanzi a dei veri cialtroni della musica. Eppure, l'ironia di certi testi, l'arguzia di certe trovate, la sociologia schietta di certi passaggi ci consegnano un mondo semplice, naif, ma genuino, sincero, appassionato.  

 Come non citare le sconclusionate "Pistolet Automatique" e "Uomini Perduti", o la strampalata "Gli Amanti Tristi", a mio parere il vero capolavoro dell'album (irresistibile il ritornello che recita: "Ah, questi amori come film già visti, non mi eccita neanche un bel finale. Ah, questi amori un poco neorealisti, la regia mi sembra dozzinale"): pezzi suonati con i piedi, cantati da ubriaconi persi nei vicoli, pezzi capaci di trasudare, tuttavia, una rozzezza da borgata, un disincanto da veri ultimi, una disperazione da vero sottoproletariato che molti altri "cantori del popolo" neanche si sognano.

Da citare, inoltre, gli struggenti brani cantati in francese ("Ramayana", "Liberté ou Mort", "Vent") che spruzzano di freschi umori d'Oltralpe i toni fumosi e cabarettistici dell'album.

Non mancano anche episodi che ospitano la lingua inglese ("White Guard") e quella spagnola ("Le Départ", da un testo di Borges): episodi che concorrono a dare colore ad un'opera che nonostante le mille imperfezioni e sbavature costituisce tutt'oggi un classico dell'underground tricolore, l'opera più coraggiosa di una band paradossalmente poco nota qui in Italia, ma che ci è invidiata da più parti al di là dei confini nazionali.

 Da riscoprire.

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