"Nello studio di Corso d'Italia custodiva il pianoforte con cui il musicista aveva composto molte melodie diventate famose attraverso i suoi film. Rota in genere componeva al tramonto come in uno stato di trance, tant'è vero che all'inizio della loro collaborazione quando Fellini gli chiedeva di ripetere un tema che aveva suonato poco prima, il musicista non ricordava più nulla. Allora Fellini volle che a tutti gli incontri musicali con Rota ci fosse sempre un registratore per non perdere nessuna delle invenzioni musicali del Maestro."

Questo aneddoto di Vincenzo Mollica ha il sapore di un tempo. Un pianoforte, un registratore e due delle sensibilità tra le più complesse e affascinanti di sempre nelle rispettive Arti. Scrivere musica per il cinema credo sia una delle esperienze più entusiasmanti in assoluto in campo musicale. Al semplice appassionato di cinema - si parla sempre di cinema eh? Quindi niente "Natali sul Titicaca" o "Vacanze sul Monte Grappa" -, non interessa scovare cosa ci sia dietro le varie tecniche delle varie maestranze impegnate nella realizzazione di un film. Quindi le musiche per film, a prodotto finito, fanno la fortuna dei film tanto quanto, se non di più, di una storia fantastica, di un cast all'altezza della storia, di un montaggio fatto come si deve e via discorrendo. Mi sembra giusto così: uno mica deve perdersi le propie emozioni sono nel tentativo di seguire le tecniche. Però poi, chi vuole approfondire queste meravigliose sensazioni nate in lui attraverso la visione di un film, scopre che dietro ci sono mondi di storyboard, sceneggiature scritte e ri-scritte, corrette e ri-corrette, e in fine la cosa più affascinante secondo me: il rapporto compositore-regista. Il compositore che cerca di entrare nella mente del regista, e il regista che tenta di dare la chiave di accesso attraverso i suoi racconti; come la chiave che apre un vecchio baule in cui ci si trova di tutto: sogni, follie, visioni, incubi. Pensando alla coppia Fellini-Rota mi vengono subito alla mente, immediatamente, due delle copie nate dal mitico Ennio Morricone: Morricone-Leone prima e Morricone-Tornatore poi. Non so cosa avrei dato per trovarmi ad assistere alle loro sedute nei giorni della Trilogia del Dollaro o di Nuovo Cinema Paradiso. Entrare nel baule di Fellini non deve essere stato facile, e chi conosce non solo i suoi film ma anche la sua vita fatta di amarcord ricorrenti soprattutto della sua fanciullezza, sa appunto che non deve essere stata una passeggiata riportare il suo mondo in musica. Ma si sa, le anime gemelle esistono anche in questo caso, e Nino Rota era la sua anima gemella. Indubbiamente. Se Fellini pensava e Rota componeva, sicuramente quello che ha tentato un vero azzardo è il terzo incomodo della situazione, e cioè il sassofonista bolognese Piero Odorici. Un sassofonista forte ed elegante come pochi, padrone indiscusso del suo strumento e del suo linguaggio. Colui che è riuscito in modo egregio a modellare i mondi di Fellini e Rota attraverso il suo linguaggio, grazie anche alla bandicciuola di primissimo piano e funzionale al progetto; messa in piedi pochi anni prima e che annoverarava anche, non solo nelle vesti di esecutori ma anche di arrangiatori, personalità del calibro di Marco Tamburini, Marcello & Piero Tonolo, Gianpaolo Casati e un giovanissimo Fabrizio Bosso.

Diventati con gli anni delle vere eminenze grigie del Jazz italiano. La banda è messa a propio agio dallo spirito musicale di Rota, dalla eleganza delle sue composizioni che rimandano inevitabilmente ai migliori film di Fellini. Quella che resta è una atmosfera antica, da Banda Jazz, da Orchestrina Jazz degli anni '20 e '30, da intervalli musicali del vecchio varietà televisivo; tutto molto congeniale quando si tratta di Rota e delle sue composizioni felliniane. Portata all'ascoltatore con un mood antico, ma nello stesso tempo con un linguaggio non certo rimasto ancorato ai vecchi schemi pre-rivoluzione Bop: un mood vigoroso, scanzonato, ironico, irriverente, malinconico, elegante, introspettivo. Tutti elementi peculiari e caratteristici del cinema di Fellini e delle composizioni di Rota. Odorici e i suoi soci hanno dato vita ad un azzardo non facile da realizzare concettualmente, ma è stata una sfida da cui sono usciti sicuramente vincitori. Splendidi profumi Jazz che sentirete attraverso i temi de "La Strada", "I Vitelloni", "La Dolce Vita", "Amarcord", rimanderanno a quel tempo che...

Una cosa del genere la mise in piedi qualche anno anche Enrico Pieranunzi, in cui nel suo splendido "Fellini in Jazz", coadiuvato da gente del calibro di Wheeler, Potter, Haden e Motian, tentò in qualche modo di battere la stessa strada della Gap Band. Album splendido, delicato, quello di Pieranunzi; ma troppo compassato... Non c'è festa come in quello di Odorici.

Non potevo concedarmi date le DeVacanze che bussano alla porta, senza parlare di Odorici e di questo disco (da 4 1/2); dopo che avevo parlato del suo amico Atti. I due sassofinisti degli ultimi venti anni, assieme a Daniele Scannapieco, che più mi hanno colpito in ambito italiano. Buona continuazioni di DeEstate, care DeBaseriane e cari DeBaseriani.

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