Quella sera al bar di Frank.

Dovevo esserci, avevo fatto carte false per esserci, anche solo per una volta, non pensai alle possibili conseguenze né al viaggio che mi sarei dovuto sobbarcare. Il lunedì da Frank è serata jam session e oggi è lunedì.

Con Frank il proprietario, nonché unico barman, avevo subito legato; in comune avevamo le stesse origini italiane, la passione per la "Musica" tutta, le chitarre e ovviamente chi le suonava. Mi disse:<< Sei mai stato in Colorado? A Denver no? Mai? Io ricordo una serata veramente magica, era il '74, era estate. Fuori un caldo tremendo e allora decisi di rifugiarmi in quel piccolo club l' Ebbets Field. Per due sere suonava un giovane chitarrista che si era già messo in mostra ed aveva indotto la critica a scomodi paragoni. A dirla tutta con lui c'erano anche gli Energy il suo primo vero gruppo, batteria, percussioni e basso. Un gruppo di amici con cui amava ritrovarsi per jammare. Attenzione tutta gente del "giro" che già conoscevo e ...immaginavo già come sarebbe andata a finire. Non immaginavo invece che la calura che mi ero lasciato alle spalle giù al parcheggio mi avrebbe seguito come un'ombra all'interno di quelle quattro mura rendendo la serata decisamente hot>>.

<<Aspetta Frank, io non c'ero ma ho la registrazione di quei concerti, stai parlando di Tommy Bolin! E per chi credi che sono qui stasera?>>.

Allora per chi non lo sapesse live at Ebbets Field '74 non è il miglior live di Bolin, non è quello registrato meglio, né quello con la miglior scaletta è semplicemente la testimonianza di una notte magica, quello che successe su un piccolo palco quella sera e del fatto che il vecchio Frank ne parli ancora adesso. Qui c'è tutto quello che uno può voler sentire da questo prodigio, (che non aveva ancora compiuto i 23) dalla sua chitarra e da quello che gli passava per la mente in quegli attimi. C'è il rock di "You Know, You Know"(Mc Luaghlin) con quei suoni slide tanto cari a Rory Gallagher, lo slow blues di "Ain't Nobody's Fool" con la voce di Jeff Cook (presente in altri tre brani)che s'intreccia a quella della strato di Bolin. Ci sono i classici: "Born Under A Bad Sign" e "Ain't No Sunshine" legati in un medley elettrico e pulsante più che mai grazie ad un tappeto di percussioni che per la verità non cessano mai per tutta la durata dell'esibizione. Ci sono pezzi strumentali che non erano mai stati eseguiti fino ad allora: "Crazed Fandango"(con una chitarra che infrange i limiti di velocità dello stato del Colorado) e la funky-rock "Homeward Strut". Fino alla conclusiva "Stratus" pescata da quel capolavoro che è Spectrum di Billy Cobham e che lo stesso Bolin ha contribuito a rendere manifesto jazz- rock da qui all'eternità.

L'ho detto io che c'era dentro di tutto: rock, blues, funk, jazz travestito da sperimentazione e tanta tanta improvvisazione. La realtà è che pochi potevano sfidarlo sul suo campo cioè in quello della fusion pura. Passava in un battito di ciglia da fraseggi rock  a scale jazz, da ritmiche funky ad assoli del tutto originali, giocava con il volume, il feedback e la dinamica come solo i grandi(Hendrix direi), rendeva musicale anche l'innesco di un jack in un amplificatore grazie soprattutto ad una cosa, l'istinto. Sentire l'intro di "Stratus" e i suoni alieni generati dalla chitarra filtrata dall'effetto echo a bobina, del quale Bolin fu maestro e innovatore, (andatevi a sentire "Comin' Home" su Come Taste The Band per farvi un'idea) fanno ancora sbalordire e rimandano direttamente all'altro genio Jeff Beck. Purtroppo a sfidarlo qualche tempo dopo fu un terribile rivale, l'eroina, che lo consegnò al lungo elenco di cui il mondo della musica avrebbe fatto volentieri a meno. Come se non bastasse ad alimentarne il mito anche la sua dichiarazione:<> detta in faccia ad un Cobham incuriosito dal suo modo unico si suonare/creare.

Proprio mentre stavo per dirgliene quattro, (cazzo per chi mi aveva preso?) Frank mi interruppe con un cenno del sopracciglio, poi passandosi pollice e indice sul baffo a lui tanto caro mi disse:<<E' ora, la magia ha inizio>>.

Mi giro poggiando il drink sul bancone freddo e vedo finalmente quel ragazzo dai lineamenti pellerossa che parlotta sul palco con un bassista munito di basso fretless. Di botto partirono una serie di rullate tremende e mi accorsi di quel piccolo batterista che non avevo neanche notato e che Frank mi diceva avesse problemi con l'alcool e le camere d'albergo. Fu allora che Bolin iniziò le danze sfidando quel bassista che un po' bullo si faceva chiamare il più grande bassista del mondo. Niente da dire, dopo una serie di armonici che neanche con quattro mani riuscirei a pescare, partì una serie di accordi pieni subito raccolti da Tommy, che si lanciò sul pedale dell'echo(uno dei suoi pezzi forti). La sua chitarra già stava facendo a gomitate con un vero e proprio basso solista e fece non poca fatica per emergere. In quel delirio, ricordo poi  un ragazzone barbuto in pantaloni di pelle neri pronto a raccogliere i frutti di quella vendemmia musicale. Raccolse il microfono lasciato sul parquet e improvvisò uno strano blues, quasi mistico. Ogni tanto gli sguardi di Bolin e di quel cantante si incrociavano cercando conferme o variazioni di tema, dietro di loro il piccoletto alla batteria agitava a più non posso le braccia tagliando quell'aria pregna con i suoi fendenti, mentre più in là nei tavolini delle prime file un vecchio di colore picchiettava le dita sul tavolo, tenendo il ritmo a occhi chiusi. Non potei fare a meno di notare la sua  tromba poggiata in verticale su di un sottobicchiere, neanche fosse una bottiglia di bourbon; mi indusse a pensare che stesse solo aspettando il suo turno per salire sul palco. Sullo sfondo un sacco di facce più o meno famigliari che assistevano divertite allo show messo in piedi in fetta e furia. Su tutti spiccava un nero con la testa afro racchiusa in una fascia dai colori sgargianti, che accordava una stratocaster mancina. Avrei scommesso quello che avevo in tasca che da li a poco sarebbe toccato a lui. La voce di Frank mi riportò coi piedi per terra :<<Tra un po'si chiude>>. Solo allora mi resi conto di quanto fosse affollato il locale, perlomeno tanto quanto il posacenere del tizio alle mie spalle.

Intanto scommessa vinta.

Il chitarrista di colore vestito come se il tempo si fosse fermato alla summer of love, fraseggiava in stereo con Bolin, il cantante misterioso ormai scoppiato declamava poesie di Blake e un tizio vestito in modo ridicolo cercava di scroccarmi una sigaretta (Il solito sosia di Elvis pensai tra me e me...Ma dico anche qui? Sono proprio dappertutto!). La birra che avevo lasciato a metà era ormai diventata calda, fu in quel momento che capii di dover togliere il disturbo. Salutai Frank che ricambiò con un:<< Puoi anche chiamarmi Vincent se vuoi>>.

Avevo la testa pesante, saranno stati i drink preparati da quell'eccentrico barista, niente comunque che una doccia fredda non potesse cancellare; solo allora risalendo la scalinata di mattonelle rosse pensavo che non potevo di certo lamentarmi. Avevo visto e sentito Tommy Bolin fare quello che gli riusciva meglio: una jam session tra amici musicisti, proprio come a Denver nel '74. Stavolta avevo dovuto fare carte false e scomodare i piani alti... Fuori era quasi chiaro, mi tirai su il bavero del cappotto compiaciuto.

Quella sera da Frank c'erano proprio tutti. Tutti quelli che contano intendo.

Il parere del commendatore Bossolazzi:

Amen. 5 nespole.

Carico i commenti... con calma