i Raveonettes sono un duo di Copenaghen nato nel 2001 dall'incontro tra Sune Rose Wagner (chitarra, tastiere, voce) e Sharin Foo (basso, voce, testi). Praticamente il classico binomio indie "figa menosa+sfigato intellettualoide", molto White Stripes.

Caratterizzati da un concept dai fortissimi connotati sixties, e dediti ad un particolare mix che negli anni ha abbracciato influenze garage-pop-rock-noise-elettronica-shoegaze, non privo di pesanti citazioni (My Bloody Valentine, Jesus & Mary Chain in primis), il progetto non fatica a far breccia sull'ascoltatore, grazie a tutta una serie di iconografie cinematografiche-revival-pulp sempre efficienti, ma non certo originalissime di questi tempi di Franz Ferdinand & co (per farsi un idea basterebbe dare uno sguardo alle press photo e alle copertine dei primi lavori, senza ovviamente dimenticare lo stesso pseudonimo) 

Due dischetti discreti, poi un mezzo passo falso con il terzo lavoro, l'eccessivamente mielenso "Pretty In Black", (che vedeva tralaltro l'apporto alla batteria di Mauren Tucker, ex Velvet Underground). Ne consegue una burrascosa separazione della major Sony/Columbia, causa "diverse vedute", (io preferisco pensare poche vendite), che porterà i due ad optare per una produzione indipendente che con una serie di buone idee, e libertà artistica porterà all'acclamato "Lust Lust Lust" (2007), rilasciato su Fierce Panda Records, ad oggi il passaggio più positivo della pur breve carriera del duo danese. [“Ora che non siamo più sotto contratto con la Sony”, “è’ molto più facile riuscire a fare tutto ciò che vogliamo, come ad esempio pubblicazioni in vinile, 7 pollici, e quelle cose che una volta non potevamo fare perché per l’etichetta erano troppo ‘complesse’.” le parole di Wagner a proposito].

Se agli esordi la band si era quindi saputa imporre per merito di un graffiante garage-rock/noise-pop pieno di feedback, rumoristica e pezzi rigorosamente in si bemolle affidati alla voce di Sune Rose Wagner, diverso è l'andamento di questo album, che conscio dell'inedito mood darkeggiante e "passionale" (come da titolo) fa adesso completamente leva sulla voce ora ingenua ora sensuale della biondissima Sharin, che tra momenti spensierati come la trascurabile "You Want The Candy" e altri, (largamente più presenti e convincenti), dalle venature malinconiche e nostalgiche come la deliziosa "Black Satin" e la cupa "Dead Sound", si scopre quanto mai adatta al nuovo contesto, oltre che vocalmente di gran lunga migliore del primo Sune, che non spiccava certo per voce (molto anonima) e interpretazione (decisamente fredda).

La formula rimane quindi il solito festival vintage fatto di melodie retrò, riffini orecchiabili (regge decisamente bene quello di "Blush") schitarrate che sembrano uscire dall'Happy Days di turno (difficile togliersi dalla testa quelle dell'ottima "Blitzed"). Tuttavia i cambiamenti ci sono, e saltano subito all'orecchio di chi aveva già avuto modo di ascoltare i primi Raveonettes : un sound ripulito, meno distorsioni e meno noises rispetto agli esordi (o quantomeno più in secondo piano che in passato), sebbene avviando play l'ipnotica e feedbackosissima "Aly Walk With Me" (la migliore del lotto) [qui il singolare video], e i reverberi di "Hallucinations" potrebbero trarre in inganno. Spicca l'inserimento di discrete dosi di elettronica lo-fi sui pezzi più lenti ("Lust"), che fanno di "Lust Lust Lust" un album sicuramente più accessibile rispetto a quanto sentito in passato, senza comunque mai inciampare nel banale miele e scontato sapore pop di cui peccava il suo predecessore. "Sad Transmission" l'altro picco di un disco che non manca certo di belle canzoni; pur nella sua semplicità funziona benissimo l'accostamento di riff 60's e distorsioni a manetta che quasi sommergono la voce di Sharin!

Un lavoro lineare e di non troppe pretese che si scopre appassionante nei suoi scarsi 40 minuti, convincendo e mostrando una maturità artistica che fa di questo progetto una delle sorprese più interessanti del panorama indie. Il fatto che poi le 11 canzoni siano state scelte da oltre cento brani fornisce dignitosa credibilità al potenziale della tracklist. Certo la limitazione nelle strumentazioni (la batteria artificiale non è proprio il massimo) ed un pizzico di ripetitivà nei motivetti di chitarra ridimensionano un attimo un lavoro che poteva essere certamente migliore.

Intanto è di pochi giorni fa la pubblicazione del nuovo "In and Out Of Control" : Il sound è diventato ancora più pulito, ho avuto modo di ascoltarlo proprio oggi, e salvo pochi brani mi ha dato l'impressione di un altro passo falso. Riusciranno a trovare una discreta continuità?!

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