Øresund Space Collective - Dead Man In Space - 2010. Questa band prende il nome dal megaponte, inaugurato qualche anno fa, che collega la Danimarca con la Svezia. Analogamente il collettivo che ne ha preso il nome, si offre come ensemble multietnico, in grado di scavalcare i concetti e i preconcetti musicali e aprirsi a collaborazioni e soluzioni ad ampio raggio. Il metodo di lavoro dell'ØSC è assolutamente personale: si piazzano in sala di registrazione e improvvisano per ore e ore, producendo jam session senza nessuna traccia prefissata, semplicemente con blandi canovacci tonali e lasciandosi andare in viaggi interminabili, variati solo da sguardi d'intesa che indicano i cambi, in un affiatamento certamente raro. Grazie a questo stile, la produzione, in termini quantitativi, è enorme e, a fronte di cinque dischi ufficiali, la band propone una dozzina di CD extra, acquistabili tramite il sito e che rappresentano il materiale relativo alle varie session, non pubblicato.

Il disco che vado a proporre è appena uscito e si chiama "Dead Man In Space". Forse non il migliore della loro produzione, ma sicuramente rappresentativo di quello che è la loro concetto musicale. É stampato, per ora, solo in vinile a tiratura limitata e si compone di sole tre tracce: una lunga suite hard psichedelico space sulla prima facciata e due brani (uno lungo e uno breve). La musica è fortemente psichedelica, space rock, con momenti più forti tendenzialmente hard e prevalenza di chitarre. I riferimenti, classici e scontati, per la proposta portano ai Pink Floyd, ma anche Hawkwind, Steve Hillage e Nektar sono ben rappresentati. Sopra a tutto una personalizzazione dettata dalla tipologia del collettivo con tre chitarre e tre sintetizzatori che un po' in alternanza, un po' in ensemble creano una ricchezza e una varietà particolare, portando spesso l'effetto complessivo ad un vero e proprio muro sonoro.

Le tracce esplodono scorribande dal forte carattere space rock (Hawkwind e Ozric Tentacles soprattutto), con un ritorno alla psichedelia di fine anni '60 anche di stampo americano (Grateful Dead, Doors). Alcune inserzioni più tipicamente jazz nelle lunghe "High Pilots" e "Space Jazz Jam 2.2" danno il senso di nuovo che si richiede ad una band che è in continua e positiva evoluzione. Elementi molto vicini allo stile floydiano saltano fuori, affiancandosi ad altri dove la predominanza jazz porta ad uno stile non distante da certi Traffic dei primi anni '70, in una forma molto coinvolgente a dalla quale emergono guitar solos lunghi, psichedelici ed effettati. Chiude il disco una breve spoken track su forti suoni sperimentali ed elettronici dal risultato vagamente kraut-space- cosmic couriers.

Il disco, per ora, è reperibile solo tramite il sito della band, in base alle vendite potrebbero avere una migliore tiratura in CD, ma è da vedersi. Per chi volesse approcciarsi alla band e gettarsi in questi lunghi trip trasognati, potrebbe essere un inizio, personalmente credo che il loro miglior lavoro sia "Black Tomato" del 2007, la scelta ai lettori.

sioulette

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