A distanza di sei anni dall’inizio del loro progetto a base di sofisticato pop rock, il rapporto di amicizia e collaborazione che lega l’intraprendente Steven Wilson ed il malinconico Aviv Geffen sembra solido e vivo come non mai.

Ne è la prova questo terzo lavoro in studio targato Blackfield, dal nome “Welcome To My DNA”, che porta novità più o meno grandi sia a livello di sound che di temi trattati.

Il cambiamento si può presentire semplicemente osservando la copertina dell’album in questione: un ragazzo rappresentato di spalle contempla assorto, dalle grandi finestre di un palazzo altissimo, il cielo azzurro. In basso sullo sfondo, nuvole sparse.

 Ed effettivamente l’atmosfera che si respira durante l’ascolto è trasognata e distante, piuttosto differente rispetto alle tinte amare e fin troppo disilluse dei precedenti lavori.

Come al solito, gran parte del lavoro è stata affidato a Geffen: la maggior parte delle 11 tracce presenti sono state scritte ex-novo dall’artista israeliano (ad eccezione di “Waving”, realizzata da Steve), altre ancora sono state riprese dai lavori distribuiti in terra natia e riarrangiate per l’occasione (“Zigota”).Gli sforzi di Aviv nella realizzazione dei brani sono evidenti e denotano le sue ottime capacità compositive ben più che in passato, grazie anche alla presenza meno invadente del “Porcospino” Wilson, il quale si limita a prestare le sue abilità canore, ben superiori a quelle del compagno.

 Le varie e numerose ispirazioni del nostro duo si palesano a mano a mano che si procede nell’ascolto: si passa da canzoni in perfetto stile Blackfield quali “Rising Of The Tide” e “On The Plane” a brani decisamente più peculiari (almeno per quanto riguarda le produzioni passate) come la già citata “Waving” o la pinkfloydiana “Glass House”. I pezzi più curiosi sono sicuramente “Blood”, una ballad dal sapore medievale con riffs di chitarra sorprendentemente corposi, e “Oxygen”; quest’ultimo, prodotto da Trevor Horn, si tratta di un brano synth – pop, molto leggero se paragonato al resto della produzione, e che potrebbe quindi far storcere il naso ai fans maggiormente legati alle elaborate melodie tipiche dei lavori di Wilson.

 Il pezzo che tuttavia è davvero in grado di suscitare forti perplessità nell’ascoltatore è “Go to hell”, caratterizzato da un ritornello ossessivo, a tratti ripetitivo, in cui Aviv sommerge di invettive la sua famiglia, con cui ha sempre avuto un rapporto difficile.

Si potrebbe tuttavia spezzare una lancia in favore del buon Geffen, facendo notare che da sempre la visceralità e l’emotività caratterizzano il lavoro dei Blackfield, e che in fondo il pezzo è come sempre ottimamente suonato.

 Nel complesso, l’impressione finale è più che positiva.

In “Welcome to my DNA” traspaiono tutta la passione e la sensibilità dei due artisti, che migliorano e rifiniscono ulteriormente la formula dei Blackfield.

Un lavoro quindi non eccessivamente complesso e molto intimistico, che farà la gioia dei fans più accaniti e che fornirà un ascolto più leggero (ma ovviamente di tutto rispetto) a chi non si è mai avvicinato ai lavori di Wilson e Geffen.

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