Se è vero che per giungere al capolavoro bisogna intraprendere una scalata di tentativi e sofferenze, Phideaux ci è riuscito al sesto gradino.
Dopo aver sfornato in quattro anni cinque album decisamente gradevoli e apprezzabili, ma non memorabili, nel 2007 esce "Doomsday Afternoon", in cui tutti gli ingredienti musicali sono amalgamati nella migliore delle combinazioni, in un rock che è ora decisamente progressive, più ricercato e sicuramente più virtuoso dei precedenti capitoli. Inutile ma inevitabile citare le fonti di ispirazione, dai Camel ai Pink Floyd, dai Genesis ai Marillion.

Phideaux - non è un terribile monicker, ma un cognome, quello di Xavier Phideaux, appunto - dall'alto della sua esperienza di compositore e polistrumentista, riesce a intrecciare perfettamente il cuore della canzone con ciò che gli sta intorno, quello che è il messaggio e tutto ciò che può essere messo in atto per comunicarlo alla perfezione, con grande impatto emotivo sull'ascoltatore, trascinato a bordo di diversi stati d'animo nell'arco di pochi minuti.
Nulla è fuori posto, nulla è esagerato, l'occhio del compositore è evidente: sa quando uno strumento deve entrare e quando deve tacere. Doomsday Afternoon è la sintesi del perfetto equilibrio tra gli elementi musicali.

L'album, diviso in due atti di cinque tracce ciascuna, per una durata totale di 70 minuti, è un concept (ovviamente) e almeno nelle intenzioni dovrebbe essere il secondo di una trilogia iniziata con "The Great Leap", con temi portanti quali il problema ecologico, senza banalizzarlo, e dell'assolutismo moderno in stile orwelliano.

La traccia di apertura, "Micro Softdeathstar", nei suoi oltre 11 minuti rivela immediatamente la perizia della composizione e l'incastro perfetto degli arraggiamenti degli archi: veri, verissimi, e sempre inseriti al momento giusto, senza farne scempio o abuso. Gemme che si incastonano nella delicatissima corona delle tracce, già impreziosite dalla voce inconfondibile di Phideaux e quella suadente di Ariel Farber.

La prima parte della classicheggiante "The Doctrine of Eternal Ice" coinvolge fino a smussare i toni con la folk e delicata "Candybrain", tormentata da chitarre e sintetizzatori, e che prelude all'incantevole "Crumble", annuncio strumentale alla "Crumble" del 2° atto, assolutamente identica ma impreziosita dalla toccante voce di Ariel Farber. L'atto primo si chiude con la seconda parte di Doctrine.

"Thank You For The Evil" apre il secondo atto con una reprise del primo: Phideaux si prende tutta la scena con voce, chitarre e synth alla "Welcome to the machin"e e un più generale richiamo ai Pink Floyd fine anni 70, marcatissimo nella chiusura del brano.

La strumentale "A Wasteland of Memories" e la già citata "Crumble", piccola e estasiante parentesi idilliaca, per quanto semplicissima in un contesto decisamente elaborato, preparano al gran finale di "Formaldehyde" e "Microdeath Softstar", che in un quarto d'ora ripercorre l'album dalla genesi, giocando non solo con le parole del titolo, ma anche con le melodie che qui vengono scombinate, ricostruite e riproposte in un'ultima eccellente rivisitazione, che consente senza difficoltà di considerare l'album con l'attenzione e il piacere di chi ha davanti a sè, se non un capolavoro, quanto meno una perla rara.

"Doomsday Afternoon", 2007
Durata totale 66:59

Act One
1 "Micro Softdeathstar" - 11:17
2 "The Doctrine of Eternal Ice (Part One)" - 3:01
3 "Candybrain" - 4:06
4 "Crumble" - 2:55
5 "The Doctrine of Eternal Ice (Part Two)" - 8:08

Act Two
1. "Thank You For The Evil" - 9:18
2. "A Wasteland Of Memories" - 2:22
3. "Crumble" - 2:55
4. "Formaldehyde" - 8:17
5. "Microdeath Softstar" - 14:40

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