La pedagogia è un'arte nobile che, a dispetto di una presunta recente nascita, viene coltivata dall'Uomo da millenni: da tempo immemore l'individuo adulto ha cercato di studiare socio-psico-antropologicamente la prole, analizzandone comportamento, indole, affinità, attitudini, educazione, mente. Persino durante l'Impero Romano, era di dispotismo, terribile paternalismo, nettissima distinzione sociale e rigide regole, un autore come Quintiliano aveva tentato di fornire un rudimentale volume di pedagogia, peraltro dimostrandosi anacronisticamente "mite" nel proporre un rapporto pater - filius e nel fornire modelli di educazione e apprendimento (non solo scolastico) d'avanguardia.

Tralasciando la più contemporanea e funzionale scuola di pedagogia otto-novecentesca e odierna, chiunque abbia sfogliato le pagine de Il Giornalino di Gian Burrasca, protagonista assoluto delle letture di antologia durante le (ex) scuole elementari e medie, può affermare di aver scorto nelle (dis)avventure di Giovanni Stoppani una "riscossa" di stampo quasi "post-moderno" all'arcaico modello familiare gerarchico e pseudo-militare, una sorta di reazione giovanile al padre padrone, al nucleo alto-borghese benestante col capofamiglia sempre pronto a menare scapaccioni e frustate, nonché una prima, notevole forma di ribellione inconsapevole, subdola, subconscia, non premeditata, del giovane scapestrato che difficilmente accoglie il gretto convenzionalismo conservatore, sostituendolo con la frivolezza (qui fin troppo esacerbata) di un ragazzo naturalmente predisposto ai guai e alle catastrofi.

Questo celebre diario è narrato in prima persona dallo stesso Giovannino, membro più giovane di una famiglia altolocata fiorentina che riceve dalla madre il giorno del suo nono compleanno un "giornalino", un quaderno rilegato dove redigere le proprie memorie. Da quel momento il giornalino diviene il compagno di viaggio più stretto del piccolo Stoppani, un locus amenus di carta in cui la burrascosa esistenza di un Pierino fine ottocentesco viene narrata nei minimi particolari, l'unico amico che fornisce conforto alla tristezza post-disastri senza la feroce aggressività del padre-picchiatore.

Se all'inizio Giannino non sa come riempire le pagine bianche del suo diario (mostrando notevoli qualità di illustratore e rubando idee dall'analogo volume segreto della sorella Ada), appena le "disgrazie" (termine con cui il protagonista descrive i suoi guai) cominciano a prendere forma il ragazzo si abitua ad un resoconto ricorrente delle sue giornate, tutt'altro che pacifiche e anonime. Le catastrofi da lui innescate vengono persino a coinvolgere il matrimonio della sorella Luisa con il Dottor Collalto (attaccando al frac dello sposo una serie di fuochi d'artificio e facendoli esplodere) e dell'altra sorella Virginia con l'avvocato Maralli (sparandogli contro nel tentativo di spegnere una fiamma o seppellendolo vivo sotto i calcinacci del caminetto saltato in aria a causa dei sopra citati fuochi d'artificio nascosti nella cappa). A nulla servono i calci, gli scapaccioni, le punizioni e le sberle inflitti dal padre, pene che addirittura lo esortano a evadere dalla sua camera (memorabile la fuga in campagna dalla zia Bettina). L'unico rimedio è dunque il collegio, soluzione a cui la famiglia deve ricorrere dopo che il figlio rovina le feste di Natale a Roma dalla sorella Luisa e disgrega la pazienza del cognato Maralli, accorso inutilmente a placare le ire del suocero e far da educatore provvisorio al bambino. Condotto al riformatorio "Pierpaoli", Gian Burrasca mal digerisce la spartanità del posto e i modi burberi dei gestori dell'istituto, la sig.ra Gertrude e il marito sig. Stanislao, e viene inserito in una "società segreta" che intende opporsi agli abusi subiti (in particolar modo la somministrazione di una minestra ottenuta dal rigoverno dei piatti sporchi). In poche settimane l'esuberanza del ragazzo miscelata all'astuzia e all'ingegno dei compagni più adulti riesce a sovvertire l'ordine del collegio, provocando fughe e disastri che costringono i gestori a rimandare a casa Giannino, lo stesso che tenta di rifarsi un nome e ripagare i danni subiti alla famiglia e al cognato Maralli, fallendo definitivamente e cadendo nel baratro di una pena finale e di un oscuro futuro non precisato dall'autore.

E' bello, dopo più di dieci anni da una lettura prettamente scolastica, imbattersi in un lavoro forse non alla pari con le vette più alte della letteratura nostrana, eppure così importante per capire il caos interno al bambino: Gian Burrasca viene contrapposto alla concezione dell'infante come "vaso" vuoto da riempire di elementi esclusivamente positivi e benemerenti, e al contrario viene proposto un piccolo soggetto già esposto a emozioni, sentimenti, cognizioni e riflessioni. Vamba va dunque a cancellare, sebbene con una sorta di racconto alla Collodi, la pedagogia classica, l'arcaico comportamentalismo, nonché il superato rapporto padre padrone-figlio sottomesso. E guardando la situazione odierna, fatta di adolescenti killer e ragazzi precocemente sperduti, un Gian Burrasca sarebbe persino un dono dal cielo, una manna da accogliere con somme lodi.

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