“Dai fatali lombi di due nemici discende una coppia di amanti, nati sotto cattiva stella, il cui tragico suicidio porrà fine al conflitto.”

La cripta lo avvolge con il suo umido calore, che gli si incolla addosso come una guaina pian piano che scende gli scalini illuminati da un’incerta luce del sole che sta sorgendo, che a malapena filtra dalle piccole finestre.
Nel mezzo alla stanza, su un letto di marmo, sta lei, la persona che più aveva amato nella sua vita, quel lampo di gioia che, seppur breve, gli aveva dato modo di pensare che forse il loro amore avrebbe convinto le loro famiglie a smettere di darsi battaglia e a massacrarsi come era accaduto fino a quel momento.
Le lacrime agli occhi, la rabbia nel cuore, ed una pozione in mano: la sua mente è un turbine di pensieri, ma solo uno emerge sugli altri, la voglia di raggiungerla, là dove nessun altro li avrebbe potuti separare.
Le si avvicina per porgerle l'estremo saluto. “E così con un bacio io muoio”, e si accascia a terra su un cuscino di muschio.

Di lì a poco lei riapre gli occhi: il piano era riuscito, il finto veleno aveva inscenato una morte fasulla che aveva ingannato tutti… Ma proprio tutti, anche chi non doveva trarre in inganno. Fa per voltarsi verso la porta e lo riconosce, riconosce quel viso giovane dalla pelle baciata dai primi raggi del sole, quei lineamenti che avrebbe voluto accarezzare per tutta la vita, corre da lui per abbracciarlo, ma ormai è finita, qualcuno se lo è già portato via con un colpo di falce. E’ in preda al panico e alla disperazione, non avrà più modo di sentire la sua voce e vedere i suoi occhi brillare. Ma proprio un luccichio attira la sua attenzione, il pugnale di lui. Con la mano tremante lo afferra: “Pugnale benedetto! Ecco il tuo fodero...” E trafiggendo il suo triste cuore, “qui dentro arrugginisci, e dammi morte”.
Ed eccoli, abbracciati per sempre l’uno accanto all’altra. “Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo. Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo

Chi sono i So Hideous? Fino a qualche tempo fa conosciuti con il monicker “So Hideous, My Love”, il quartetto newyorkese da alle stampe il primo LP (dopo alcuni EP molto ben accolti) dal titolo “Last Poem/First Light”, e fa centro. Colpisce piacevolmente la ricetta di questi ragazzi, uno strano ibrido tra violenza (post) black metal, la sofferenza di matrice (ancora, post) hardcore e certe atmosfere sognanti che fanno da cornice al tutto, create addirittura da un’orchestra sinfonica. C’è dolore in queste sei tracce di poco più di mezz’ora di durata, c’è un ripiegarsi su se stessi figlio dello screamo e del male di vivere che tanto fiorisce nelle recenti produzioni post black metal, ma c’è anche tanta epicità, merito dei crescendo orchestrali che fanno salire il pathos di pari passo con la foga e l’urgenza delle liriche. Ascoltando il disco vengono in mente tanti gruppi che navigano bellavente nei confini tra post black metal e post hardcore, gente come Harakiri for the Sky, Lantlôs (non gli ultimi), Thränenkind, Envy, Elijah, A Hope for Home, e tutta la frangia "post" più emozionale ... Gente che patisce insomma, che si scartavetra la gola e si brucia le mani suonando e mettendo in musica i loro sentimenti.

Si tratta di un album di ottimo livello ma di non facile fruibilità: ha bisogno di decantare e di crescere con gli ascolti. Un consiglio: in cuffia, senza distrazioni, e a volume sparato fino al sopportabile. Le orecchie sanguineranno ma i brividi lungo la schiena ed i peli drizzati sulle braccia vi diranno che avete fatto la scelta giusta decidendo di perdere tempo dietro a questi inconsolabili e teatrali piagnucoloni.

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